La vita è sogno con Mariano Rigillo sui legni del Brancati di Catania

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“…toda la vida es sueño, y los suegños, suegños son” è la frase di grande fascinazione che ha solcato i secoli, consegnando all’eternità Calderon De La Barca, ultimo grande scrittore seicentesco spagnolo e il suo dramma in tre atti “La vita è sogno”. Firmata in questa edizione teatrale da Giuseppe Dipasquale con il titolo “La vita è un sogno” l’opera è stata vivacemente adattata e abilmente interpretata da un cast di tutto rispetto, da Ruben Rigillo a Angelo Tosto, su cui spicca l’aura regale del diafano re Basilio di Mariano Rigillo. Infarcita di suggestive videoproiezioni oniriche la scena si delinea essenziale e barocca. Sul palco nudo si aprono tre porte, i tre stadi del corpo: fisico, spirituale, astrale. Sullo scenario dominato dalle immagini si muovono i personaggi, in una successione di quadri tra il fiabesco e l’epico, sottolineati da fastosi costumi d’epoca, dove il regista incunea, per stemperarne il tono drammatico, guizzi d’ironia e piccoli squarci comici, in un mix evocativo di atmosfere surreali, ricche di riflessioni esistenziali, dove filosofia e letteratura vanno a braccetto, con garbo e sicumera, tra echi di Platone e dell’ “Edipo re”.

Il corpo è la prigione della nostra anima. Il mito della caverna del grande filosofo greco si annuncia in apertura di spettacolo, dopo un favolistico ingresso in videoproiezione di due personaggi misteriosi in groppa a un enorme uccello che atterrano in una altrettanto misteriosa terra. Giunti a una torre vi entrano. All’interno trovano un uomo languente che giace a terra in catene, inferocito per l’intrusione dei due nei sotterranei di quella torre solitaria fra le montagne di un’immaginaria Polonia; è completamente disperato per la sua triste sorte di cui non conosce la ragione. Lui in verità è il principe Sigismondo che però ignora la sua identità. Egli non sa di essere il figlio del re Basilio, prigioniero dalla nascita per volere del padre, astrologo e scrutatore dei cieli e dei destini degli uomini, che nelle stelle ha visto il destino tremendo del nascituro, tiranno sanguinario e rovina del reame. Per sfuggire alla tremenda premonizione divina, Basilio, come Laio, ha chiuso l’erede, che edipicamente nascendo ha “ucciso” la madre, in grande segretezza nella torre, con l’unica presenza del fedele Clotaldo, ministro del re, a cui è stata affidata l’educazione dello sventurato; ma Basilio è vecchio e sente avvicinarsi la fine. Occorre un successore al trono. L’ambizione al potere, come in tutte le corti che si rispettino, brucia il cuore e la mente dei nipoti Astolfo e Stella che nel disegno del re, una volta sposati, erediteranno il regno. Prima però, per scrupolo di coscienza, Basilio decide di dare un’ultima occasione al figlio, rivelandogli la sua vera origine. Addormentato con un sonnifero e condotto a corte con tutti gli onori il principe reagisce malamente alla rivelazione della sua vera condizione, manifestando con atti di violenza tutta la sua rabbia e il suo rancore nei confronti dei suoi carcerieri che lo hanno ingiustamente e crudelmente condannato a un’eterna prigionia per un’astrusa divinazione. Di conseguenza il principe viene addormentato, di nuovo ricondotto al suo carcere, ingannato: gli fanno credere che ha sognato la sua liberazione. A scombinare i piani regali era intanto giunta alla corte, lo vediamo nell’incipit, la bella Rosaura travestita da guerriero con il suo fedele scudiero Clarino, una sorta di giullare, a cui viene affidata nella pièce la parte comica, che ama riamata Astolfo. Tra intrighi, tranelli, agnizioni, Sigismondo viene di nuovo liberato per volere del popolo che lo acclama suo re, e questa volta il suo comportamento benigno, tracimato da un tardivo libero arbitrio, lo riscatta dal suo infame destino. Concedendo il perdono a Basilio e a Clotaldo, dando in sposa Rosaura, che si rivela figlia di Clotaldo, ad Astolfo, e impalmando Stella, in un finale rosa, da sogno appunto, Sigismondo conferma che la vita è sogno e i sogni sono sogni… E’ il trionfo dell’effimero, del caduco, dell’inafferrabile, del “tutto è possibile”. La letteratura è sogno, ma può incidere come una lama la durezza pietracea dell’anima prigioniera delle illusioni. Uscire dall’illusorio, abbandonare i fantasmi della vendetta, abbracciando l’amore e il perdono è una via favolistica? Forse. O forse è il sogno di uno scrittore? Scegliere tra vita e morte, tra il bene e il male, tra verità e menzogna, tra amore e odio, tra conoscenza e ignoranza, è possibile se la natura ferina dell’uomo abbandona le vie malsane, sorretto dalla cultura e dai buoni sentimenti. Ci sia concesso sognarlo insieme a Calderòn de la Barca…

LA VITA E’ UN SOGNO

di Pedro Calderon De La Barca
regia Giuseppe Dipasquale
con Mariano Rigillo
Ruben Rigillo, Silvia Siravo, Angelo Tosto
Filippo Brazzaventre, Alessandro D’Ambrosi, Federica Gurrieri, Valerio Santi

Musiche Germano Mazzocchetti

Costumi Dora Argento

Immagini Francesco Lopergolo

Produzione Teatro della Città

Al Teatro Vitaliano Brancati fino a Domenica 26 Marzo

La vita è sogno con Mariano Rigillo sui legni del Brancati di Catania


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