Iran, un 8 marzo in difesa delle studentesse vittime del bioterrorismo

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Quest’anno la giornata internazionale della donna in Iran, è dedicata alla difesa delle ragazze e delle bambine colpite dagli attacchi bioterroristici contro le scuole medie e i licei femminili. Dal 30 Novembre ad oggi, oltre 1000 scuole in circa 40 città iraniane sono state oggetto di attacchi bioterroristici, con migliaia di ragazze e bambine che hanno dovuto ricorrere agli ospedali e alle strutture mediche.

Dopo due mesi, il regime degli ayatollah finalmente ha riconosciuto che gli attacchi bioterroristici contro le studentesse non era, come dicevano fino a qualche giorno fa frutto di una “isteria collettiva”, ed hanno annunciato alcuni arresti. Il primo a finire in carcere ovviamente anche in questo caso un giornalista.  Ali Pour Tabatabaii, il direttore del sito Qom News, che per primo ha pubblicato la notizia è finito in carcere. Anche nel caso dell’assassinio di Mahsa – Jina Amini, la giornalista Niloufar Hamedi, che per prima  diede la notizia di questa tragica vicenda è stata arrestata e ancora oggi si trova in carcere. Denunciati anche i direttori di quattro testate giornalistiche con l’accusa di “diffusione di notizie tendenziose”. Poi il Ministero degli Interni ha annunciato l’arresto di tre giovani che erano già stati arrestati in precedenza per aver partecipato alle proteste. Hanno però riconosciuto che anche “alcuni elementi non ostili al governo sono stati fermati in relazione a questi fatti, ma rilasciati dopo aver loro spiegato che ciò che avevano fatto era un atto criminale.”

Tutto è iniziato a Qom città fulcro dello sciismo Iraniano. In questo primo attacco contro la scuola Shahid Fahmideh di Qom, una bambina di di 11 anni, Fatemeh Sadeghi, è deceduta dopo essere stata ricoverata in ospedale. Da allora gli attacchi contro le scuole elementari e i licei non sono mai cessati. Solo nella giornata del 6 marzo, le alunne di 27 scuole, in città grandi e piccole sono state colpite da attacchi bioterroristici.

Le autorità della Repubblica Islamica nei primi 70 giorni hanno cercato di minimizzare questi attacchi, e solo dopo che la gente si è riversata nelle strade chiedendo protezione per i propri figli, sono stati costretti a prendere posizione e riconoscere la dimensioni preoccupanti di questi attacchi.

Ebrahim Raisi, presidente della Repubblica Islamica, ha subito puntato il dito contro gli oppositori del regime e i governi stranieri. “Dietro a questi attacchi vediamo mani di potenze straniere.” Lo stesso ha fatto Ali Khamenei, leader supremo del paese, pur definendo questi attacchi “atti criminale”, ha indirettamente accusato coloro che da oltre 6 mesi protestano contro il suo regime. Per Majid Mir Ahmadi, vice Ministro degli Interni, “la situazione è meno grave di quanto possa sembrare.”

Il governo nega ogni responsabilità in questi attacchi, anche se molti la pensano diversamente. Abolfazl Ghadiani, noto intellettuale sciita punta il dito contro Ali Khamenei. “Questi attacchi chimici- ha dichiarato- sono organizzati dai vertici di questo regime autoritario con in testa Ali Khamenei.”

Gli scopi di questi attacchi contro le studentesse, secondo alcuni analisti iraniani, posso essere diversi. Anzitutto la vendetta. Le liceali iraniane hanno avuto un ruolo molto attivo ed importante nelle proteste degli ultimi 6 mesi. Lo stesso Ali Khamenei nel mese di Ottobre, durante un incontro con i vertici di polizia e le forze di sicurezza,  aveva detto “questi giovani che presi dall’entusiasmo protestano per le strade, con alcune punizioni potrebbero capire che hanno commesso un grave errore.”

Altri analisti sostengono che questi attacchi servirebbero a deviare l’attenzione della popolazione dalla grave situazione economica che ha visto solo nell’ultimo mese la moneta locale perdere il 20 per cento del suo valore rispetto all’euro e al dollaro statunitense. Altri vedono dietro a questi atti di bioterrorismo un doppio messaggio, uno inteso come avvertimento alle famiglie per far cercare di desistere dalle proteste le proprie figlie, e un secondo rivolto ai paesi occidentali che negli ultimi mesi hanno assunto toni più duri nei confronti della Repubblica Islamica, condannando la dura repressione delle manifestazioni pacifiche della popolazione. In questo caso il messaggio sarebbe: come abbiamo colpito le scuole in Iran possiamo farlo anche nei vostri paesi.

Alcuni ambienti religiosi più radicali, quelli che potrebbero essere definiti la versione iraniana dei Taliban afgani, da sempre vorrebbero limitare l’educazione delle ragazze solo alle elementari, tra questi, ci sono i seguaci di Mohammad Taghi Mesbah Yazdi, morto qualche anno fa, il quale diceva “se la polizia e la magistrature non interviene è dovere di ogni buon mussulmano punire chi non rispetta i dettami della fede.”

Anche se questa ipotesi fosse vera, bisogna evidenziare che un attacco così vasto e così ben organizzato non è possibile senza appoggi molto influenti nelle istituzioni. Tanto per iniziare, in questi attacchi bioterroristici sono stati utilizzati almeno due differenti tipi di gas velenosi, mischiati tra loro. Gas non reperibili nei negozi di quartiere. Inoltre per preparare il mix si ha bisogno di strumenti specifici e una certa conoscenza in materia.

In un paese dove 22 strutture di sicurezza oltre ad un ampio apparato di repressione sono presenti a tutti i livelli della società, e per molto meno i dissidenti vengono individuati ed arrestati, sembra difficile, se non impossibile, che in oltre tre mesi passati dal primo attacco nessuno sia stato individuato ed arrestato. Ciò è possibile solo se che chi effettua questi attacchi possa contare su appoggi e connivenze all’interno del regime e ad altissimo livello. Quando il governo o lo Stato dicono di non aver scoperto nulla, o mentono o dimostrano di non avere alcun controllo sul paese e di non essere in grado di proteggere i propri cittadini.

 


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