Anche loro non le avevamo viste arrivare

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Sono decine le donne morte in mare nel naufragio di Cutro, soprattutto afghane. Anche loro non le vediamo mai arrivare, ma arrivano sulle nostre coste con i figli, purtroppo annegati in tanti nel mare in tempesta senza soccorsi. Ci accorgiamo del loro arrivo solo quando muoiono e l’immagine delle loro bare allineate e dei loro corpi riaffiorati tra le onde, gonfi dopo giorni in acqua, ci fa rabbrividire di orrore. Eppure ogni giorno ci sono sbarchi sulle nostre coste di donne in fuga dalla guerra, dalla fame dalla mancanza di libertà. Lo sappiamo, ma sino a quando non vediamo i loro cadaveri sulle nostre spiagge, non le sentiamo arrivare. C’è troppa ipocrisia in questo atteggiamento. Una volta le giovani afghane non partivano verso l’Europa. Le famiglie affidavano ai figli maschi i risparmi racimolati con tanti sacrifici da dare ai trafficanti di esseri umani che li avrebbero portati verso il sogno di un futuro:l’Europa. Oggi invece partono anche le afghane alle quali i talebani hanno tolto il diritto a studiare, lavorare, passeggiare in un parco, uscire da casa se non c’è un maschio al loro fianco. In pratica il diritto a vivere. Ecco perché sono pronte a morire in un mare agitato piuttosto che languire senza speranza prigioniere tra le mura di fango delle loro povere case. Cercava la libertà Torpekai Amarkhel la giornalista annegata a pochi metri dalla spiaggia di Crotone. Faceva l’interprete per l’Onu a Kabul e con i talebani al potere non aveva più un futuro in patria, non solo perché donna, ma anche perché la scure della censura è piombata su tutti i giornalisti in Afghanistan. Le donne sono state licenziate,le notizie sono sotto il controllo del regime e chi non ubbidisce finisce in prigione. Tanti i siti che hanno chiuso e i media rimasti aperti diffondono solo comunicati ufficiali governativi. Le redazioni si sono assottigliate. Chi ha potuto è partito su voli umanitari e ha ottenuto lo status di rifugiato, altri sono stati costretti ad affidarsi ai trafficanti per uscire dal paese rischiando la vita come Torpekai Amarkel che era su quel caicco naufragato a Crotone con il marito e due bambini. Sognava di andare in Olanda dove l’aspettava la sorella che è arrivata a Crotone per il riconoscimento dei loro corpi. Persone come noi, ma meno fortunate perché nate in una terra povera abitata da uomini che odiano le donne e che pensano di poter governare un paese senza la metà della sua popolazione. Succede anche in Iran dove le ragazze si stanno ribellando con un coraggio esemplare al regime degli ayatollah. Donne vita libertà hanno gridato per mesi, con al loro fianco anche tanti uomini, nonostante la dura repressione delle autorità iraniane. Le carceri si sono riempite di dimostranti e sono iniziate le esecuzioni delle condanne a morte insieme alle torture e agli stupri. Le loro voci si sono affievolite, ma non la voglia di cambiare un sistema che vuole le donne sottomesse e ubbidienti. Non vanno lasciate sole, ti dicono le iraniane che vivono all’estero, non si devono fare affari con Teheran che galleggia su un mare di petrolio. Iran e Afghanistan, due regimi oscurantisti, ma almeno in Iran le donne studiano e lavorano e si laureano in numero maggiore dei loro compagni. Casi limite, in un mondo dove la vita delle donne è comunque faticosa. L’Italia sta vivendo una pagina di storia con una donna per la prima volta alla guida del governo, una a capo del maggiore partito di opposizione, altre due ai vertici della Corte Costituzionale e della Cassazione. Non era mai successo prima e dobbiamo gioirne. Dietro di loro c’è un esercito di donne che annaspa in un paese senza servizi adeguati per le famiglie, con il più basso tasso di occupazione femminile in Europa,51,9% ; un divario salariale vergognoso tra uomini e donne; carriere che sembrano corse a ostacoli; un livello di precarietà che colpisce soprattutto le lavoratrici; un tasso di natalità sconfortante con più morti che nascite. Serve una forte sterzata per raddrizzare questa evidente mancanza di parità che frena anche la nostra crescita economica. Avere più donne ai vertici delle istituzioni dovrebbe essere un segnale di speranza per un cambiamento, anche se chi guida il governo da pochi mesi ha subito precisato di volersi far chiamare ” IL” presidente del consiglio. Essere la prima donna a ricoprire un incarico istituzionale crea aspettative nelle altre donne. Cara presidente Meloni non ci deluda. Cara segretaria Schlein non ci deluda. Cercate di fare la differenza con il passato. Io da parte mia vi ricordo quella meravigliosa frase di Madeleine Albrigh prima segretaria di stato USA con Bill Clinton: “C’è sempre un posto speciale all’inferno per le donne che non aiutano le altre donne”


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