Lydia Franceschi: una vita di resilienza lunga quasi un secolo

0 0

Il ‘900 ha graffiato la vita di alcune persone in un modo particolare, drammaticamente affascinante.

Lydia Franceschi è tra queste e bene ha fatto Tiziana Ferrario a raccontarne la vita, ammettendo fin dalle prime righe che “sembra un romanzo”. Lydia Franceschi è la mamma di Roberto, lo studente della Bocconi ucciso da un colpo alla nuca da un’arma della polizia il 23 gennaio di 50 anni fa (1973). Ma il libro comincia un secolo fa (1923) quando Lydia nasce a Odessa da una coppia di rivoluzionari. Lui, Amedeo Buticchi, scappato dall’Italia che si stava consegnando ai fascisti per andare nella patria del socialismo; lei Lidia – sì, proprio così – giovane donna, poliglotta, appartenente ad una famiglia benestante emigrata all’Est molti anni prima. Una bellissima storia d’amore in un periodo contrassegnato però da sospetti e odio paranoico: nessuno ne ha le prove ma è probabile che Lidia sia stata uccisa e non morta di una crisi post-parto. Dunque Lydia, appena nata, perde la madre. Il padre capisce che in URSS è iniziata una resa dei conti autodistruttiva, per un po’ resiste ma dopo essere stato arrestato torna in Italia. E lì, pochi anni dopo, verrà ucciso … ma non aggiungo altro per lasciarvi il gusto della scoperta.

Nel libro di Tiziana Ferrario ci sono tutte le tappe della vita di Lydia contrassegnata dalla violenza. Una violenza che lei ha trasformato in impegno, in una sfida a cercare traguardi nuovi e positivi. Lydia che perde in modo tragico il padre e che in suo nome partecipa alla Resistenza. Lydia che reagisce all’omicidio del figlio lavorando per una scuola che integri le persone con disabilità, gli operai con le “150 ore”, che non lasci indietro nessuno.

Il processo per l’omicidio di Roberto Franceschi è una farsa durata 26 anni, perché fin dall’inizio la polizia fa di tutto per depistare le indagini. E ci riesce.

Tiziana Ferrario giustamente pubblica per esteso le lettere dei pochi poliziotti che hanno cercato un dialogo con Lydia. Non per chiedere un generico perdono, ma per accusare la loro stessa istituzione: “sono troppi 126 anni di comportamento antidemocratico per poterli cancellare con un colpo di spugna”, scrive ad esempio Armando Fontana, sovrintendente di polizia in una toccante lettera.

Lydia Franceschi – che è morta l’anno scorso – è stata un punto di riferimento: si può dire che la resilienza l’ha inventata lei. E con lei la famiglia, che ha dato vita alla Fondazione Franceschi. Ogni anno la Fondazione usa parte dell’indennizzo che lo Stato ha pagato per l’uccisione di Roberto per premiare i giovani ricercatori universitari che studiano come combattere le disuguaglianze. In qualche modo, dunque, per continuare le battaglie di Roberto e di Lydia.

Per saperne di più c’è un’occasione: “La bambina di Odessa” verrà presentato a Bookcity domenica 20 novembre, alle 14, al Salone degli Affreschi dell’Umanitaria. Oltre a Tiziana Ferrario ci saranno anche Lella Costa e Nando Dalla Chiesa.


Iscriviti alla Newsletter di Articolo21