Lettera aperta a Enzo Baldoni, da 18 anni altrove ma sempre con noi

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Caro Enzo,

da 18 anni sei altrove, certo non per tua scelta. E sicuramente la terra non ti è lieve perché la tua inquetudine intellettuale e la tua curiosità professionale oggi ti avrebbero condotto in Ucraina per raccontare il martirio della popolazione. Lo scorso anno invece saresti stato in Afghanistan per fissare le immagini di una disfatta internazionale e le sofferenze di gente innocente pronta ad abbarbicarsi ad un aereo in fase di decollo pur di scappare dalla barbarie. Mentre nel 2020 ti avrei incontrato a… e via con 18 lunghi flash-backs per arrivare a quel 26 agosto 2004, quando un gruppo terroristico islamista (legato probabilmente ad Al Qaeda) ti uccise filmando barbaramente l’esecuzione ed inviando il video ad alcune tv satellitari arabe.

Lo scempio della tua persona iniziò il 20 agosto quando ti rapirono nei pressi di Najaf, nell’Iraq in fiamme. Tu eri lì da due settimane e seguivi un convoglio della Croce Rossa che portava aiuti alla gente. Una occasione d’oro per raccontare ai lettori del settimanale “Diario” a cui collaboravi le conseguenze dell’occupazione straniera di una nazione in bilico tra feroce dittatura e fondamentalismo religioso armato, destinata ad essere aggiunta agli altri disastri di una miope politica occidentale.

Le cose si misero subito male. Per il tuo rilascio i terroristi chiesero il ritiro entro 48 ore delle truppe italiane impegnate nella missione Antica Babilonia. Poi il video pose fine ad ogni speranza.

Le strade dove avvenne tutto questo le avevo percorse più volte, alcune anche al seguito della Croce Rossa, per arrivare a Najaf ed intervistare nella sua roccaforte l’inquietante leader militare Muqtada al-Sadr, in questi giorni tornato alla ribalta informativa internazionale per aver ispirato l’occupazione del parlamento iracheno. Un uomo di un pallore cadaverico, sempre sudato, che non guardava mai negli occhi i suoi interlocutori, circondato da guardie del corpo armate e da una autorevolezza tramandata grazie ad una famiglia importante nella tradizione sciita.

E quando seppi della tua vicenda ovviamente pensai che poteva succedere anche a me.

Sai bene che hai una famiglia eccezionale. La discrezione è stata la sua cifra: mai una parola fuori posto. Suona strano oggi in tempi in cui i sentimenti vengono esibiti in piazza, complici i social e i media.

Eppure ne avrebbero avute tutte le ragioni. Solo 6 anni dopo la tua morte hanno avuto i resti su cui piangere, al termine di lunghe trattative e penosericerche. E c’è stato anche chi nel 2005 fece ritrovare frammenti ossei spacciandoli per tuoi, per tirare fuori qualche soldo ignobilmente.

Caro Enzo, la tua fine resta senza colpevoli e nei fatti è archiviata per la mancanza di un procedimento legale attendibile. Mi vengono in mente altri casi analoghi. Ma parafrasando “A’ livella” di Totò ti ricordo che “queste pagliacciate le fanno solo i vivi. Tu sei serio, appartieni alla morte”.


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