La cultura fra memoria e futuro

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Di Jean-Louis Trintignant, scomparso lo scorso 16 giugno all’età di novantuno anni, ricorderemo non solo la grandezza cinematografica ma anche la bellezza della persona, la sua cultura e il duo coraggio. Era, infatti, un attore fuori dagli schemi, straordinariamente libero e anticonformista fin da ragazzo, sempre pronto a sferzare una società di cui vedeva tutte le nefandezze e a mettere in evidenza gli aspetti esecrabili di un contesto nel quale faceva fatica a riconoscersi. Non a caso, con i suoi capolavori, ci ha svelato aspetti del nostro Paese che molti altri hanno preferito tenere in ombra, denunciando l’arroganza di determinati comportamenti e il declino di un sistema di valori che da troppo tempo sta degenerando, fino a sfociare nella barbarie. Innumerevoli i titoli meritevoli di menzione: una filmografia di prim’ordine, caratterizzata da capacità di una denuncia senza eguali e da una forza d’animo che gli consentiva di battersi con convinzione contro ogni ingiustizia. Noi italiani lo associamo spesso a “Il sorpasso”, un film che metteva in evidenza gli aspetti meno edificanti dell’Italia del boom e gli eccessi che avrebbero presto trasformato la primavera della speranza in un inverno della paura e dell’incomprensione diffusa.
Diciamo che quell’opera costituisce il manifesto della sua carriera, l’icona di un uomo, prim’ancora che di un interprete, in grado di immedesimarsi totalmente nei suoi personaggi, fino a renderli protagonisti di un’epoca e di un modo di essere, cambiando grazie a essi la percezione della collettività in merito ai costumi e alla direzione di marcia intrapresa. Nel 2003 visse il dolore immenso dell’omicidio della figlia da parte del compagno: un lutto dal quale non si è mai ripreso, uno strazio che lo ha logorato in maniera decisiva, consumandone la voglia di vivere e di lottare e rendendolo incredibilmente fragile, nel degrado di un tempo e di un mondo nei quali faceva sempre più fatica a riconoscersi. Gli diciamo addio con amore, gratitudine e la certezza di aver perso un gigante, una coscienza critica e un punto di riferimento per una collettività sempre più sola e abbandonata a se stessa. Ci auguriamo che il futuro possa riservarci altri personaggi del suo livello, ma sinceramente facciamo fatica anche solo a immaginarli.

Compie, invece, ottant’anni un’altra icona della contemporaneità. Auguri di cuore a Paul McCartney, consacrato dalla fama mondiale dei Beatles, cui peraltro contribuì attivamente, e simbolo di uno dei periodi più felici della storia dell’umanità, di una generazione che guardava al domani con l’animo ricco di sogni e di un pianeta che ancora non avvertiva l’angoscia del domani. McCartney è sopravvissuto a ogni stagione, per il semplice motivo che la sua musica è immortale e la sua personalità è legata a ciò che amiamo di più: la spensieratezza, la gioia di vivere, l’amore, la gentilezza e tutti quei sentimenti che oggi stanno venendo meno ma che a un suo concerto si ritrovano ancora come per magia. È la meraviglia della cultura, fra memoria e futuro: un ponte sospeso sull’abisso della nostra miseria attuale, forse l’ultima forma di opposizione a tutto ciò che ci rende peggiori, in un contesto ormai divenuto invivibile e addirittura pericoloso per chi ha deciso di non arrendersi alla barbarie.

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