Catania. 18 persone agli arresti. Associazione mafiosa, estorsione, usura e traffico di stupefacenti

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Il passato non è passato se è ancora presente. La mafia del terzo millennio continua a fare affari con i vecchi metodi, mai tramontati, delle estorsioni, dell’usura e del traffico di droga. Un sistema ben oleato, ma ormai non più impermeabile alle attività di contrasto delle forze dell’ordine. Come dimostra l’ultimo blitz  antimafia della squadra mobile di Catania e degli agenti della polizia del commissariato di Acireale, che alle prime luci dell’alba di ieri ha portato agli arresti diciotto persone, dietro mandato della Dda etnea. I reati ipotizzati, a vario titolo, vanno dall’associazione mafiosa, all’estorsione, all’usura e al traffico di stupefacenti. L’operazione denominata “Odissea”, è il frutto di un’indagine durata oltre un anno per fatti che si sarebbero svolti fra gennaio 2019 e novembre 2021, e che si è avvalsa dell’uso di intercettazioni e di altri tradizionali metodi investigativi. I particolari dell’operazione sono stati presentati ai giornalisti negli uffici della mobile della città degli elefanti, alla presenza del prefetto Francesco Messina della Direzione centrale anticrimine, del  questore della provincia di Catania Vito Calvino, del direttore dello Sco Fausto Lamparelli, dei dirigenti della mobile e del commissariato di Acireale, Antonio Sfameni e  Tito Cicero. Dalle indagini sarebbe emersa la riorganizzazione sul territorio dello storico gruppo criminale riconducibile alla cosca “Santapaola–Ercolano”, che da decenni opera fra Acireale e Aci Catena. In questa fase del procedimento, in cui non è stato ancora istituito il contraddittorio tra le parti, gli indagati destinatari della misura cautelare sarebbero  sospettati di far parte della frangia acese della famiglia mafiosa che padroneggia in quelle zone della Sicilia, la famiglia Santapaola-Ercolano.

Il reggente, secondo le ricostruzioni dell’accusa, sarebbe stato Antonio Patanè, attivo ad Aci Catena, che, dopo la sua scarcerazione avvenuta nel novembre del 2018, avrebbe “assunto immediatamente la direzione del sodalizio, riorganizzandone la struttura e riattivando diverse estorsioni ai danni di imprenditori del territorio”. Veniva così ristrutturato il vecchio modello a forma piramidale, il cui vertice era affiancato ad Acireale da altri tre indagati. A Patanè, stando ancora alle ricostruzioni degli inquirenti, si sarebbero poi uniti altri soggetti. Fra questi Rosario Panebianco, tornato in libertà nel luglio 2019 e indicato come a capo del gruppo di Acireale. “La riunificazione degli storici vertici criminali” avrebbe consentito, secondo la Procura, “non soltanto di rimodulare l’assetto dell’associazione in termini gerarchici e funzionali, ma offriva l’immediata possibilità di riproporre sul territorio una serie indeterminata di attività criminose, che formavano oggetto di specifico accertamento”. A fornire elementi utili alle indagini anche le dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia gestiti dalla Dda. di Catania, le cui  dichiarazioni sono state ritenute attendibili. Da 200 a 500 euro al mese, a tanto sarebbero ammontate le somme estorte ai commercianti, che non avrebbero denunciato i loro estorsori. Ciò malgrado i duri colpi inferti alla criminalità organizzata da trent’anni a questa parte e il conseguente proliferare di associazioni antiracket.

Non a caso, lo stesso direttore dell’Anticrimine Messina ha commentato con amarezza davanti ai cronisti: «Cosa nostra è una sorta di azienda che produce “protezione”, ci sono questi fatti estorsivi che non sono stati denunciati, cosa che non ci lascia indifferenti. Nonostante lo Stato abbia dimostrato di essere più forte della criminalità mafiosa, c’è ancora una parte di cittadini che non ha perfezionato il senso civico, e persiste nell’affidarsi per la protezione a queste organizzazioni». Sono lontani a tutti gli effetti i tempi dei Libero Grassi, che a quell’omertà diffusa, bibbia dei mafiosi e di chi ne subiva le violenze e le prevaricazioni, opponeva il coraggio della parola, consapevole delle conseguenze che sarebbero scaturite da quella sete di libertà. Persino il nome dell’operazione, “Odissea”, nella terra dei Ciclopi, finisce per evocare il IX libro dell’omonimo poema di Omero, quando il poeta greco a proposito dei giganti ne dà la definizione di “prepotenti e privi di norme….che esercitano l’autorità su figli e mogli”.


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