Conte, Bersani e il bisogno di costruire un domani 

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Diciamoci la verità, almeno da queste parti: il governo Draghi non esiste più. O, come si sarebbe detto in altre stagioni, “ha esaurito la spinta propulsiva”. Al che non resta che prendere atto della realtà e comportarsi di conseguenza. Giuseppe Conte, leader del M5S, ha molte virtù, a cominciare da un’invidiabile pazienza, ma adesso deve trarre le conseguenze da ciò che è acaduto negli ultimi mesi. Questo esecutivo, infatti, ha eccome un colore politico ed è il peggiore possibile. È un governo di chiara marca liberista, le cui misure non stanno aiutando in alcun modo il Paese a rialzarsi dopo due anni di pandemia e nel bel mezzo della tragedia bellica che stiamo vivendo ed è opportuno sorvolare su come stia gestendo una crisi internazionale in cui l’Italia sta avendo un ruolo marginale e non certo in linea con la sua tradizione e il suo prestigio.
Non solo: sta anche contrastando, in maniera sempre più esplicita, tutto ciò che di buono avevano portato a casa i due governi precedenti: sul piano economico e sociale e nel rapporto con la cittadinanza, attualmente esclusa da ogni decisione, per giunta con un Parlamento ridotto a un mero votificio e umiliato da un numero di fiducie francamente spropositato. Aggiungo: se Conte forse ha ecceduto in DPCM, benché giustificato dal fatto di essere al timone di un Paese travolto dal Covid e senza vaccini, non c’è alcuna giustificazione per un governo che va avanti senza consultare nessuno pur disponendo di una maggioranza bulgara in entrambe le Aule. Di fronte a tutto questo e in vista di elezioni che si preannunciano fra le più delicate di sempre, l’ex Presidente del Consiglio dovrebbe pertanto prendere in considerazione l’idea di compiere un atto che verrebbe tacciato di irresponsabilità dalla solita stampa con l’elmetto in testa e il poster di Draghi in redazione ma che verrebbe accolto con sollievo, e magari persino con entusiasmo, da quella gran parte di cittadine e cittadini che oggi si sente apolide. Basti pensare che alcune delle riflessioni più sensate sulla guerra in Ucraina e su come dovrebbe comportarsi l’Italia le ha formulate Berlusconi.
No, non crediamo alla buona fede di quest’ultimo: ha avuto troppi rapporti con Putin ed è troppo abile a fare campagna elettorale per essere ancora credibile, oltretutto ai nostri occhi non lo è mai stato. È, tuttavia, innegabile che se il più lucido è il principale artefice del declino del Paese, siamo messi piuttosto male. Ed è altrettanto innegabile che questo procedere napoleonico, con tanto di Consiglio dei ministri durato appena dieci minuti, significa andare a sbattere. Perché esistono gli equilibri autoreferenziali di quei due ettari di territorio che caratterizzano il centro di Roma, con le sue sedi istituzionali e i suoi luoghi del potere, politico e mediatico, ed esiste il resto del Paese. E nel resto del Paese quegli equilibri non esistono, non sono mai esistiti e non esisteranno mai. Senza contare che questa storia che non ai può votare ce la raccontano a ogni piè sospinto da oltre un decennio e ha alquanto stufato, considerando che tutto il resto del mondo ha votato regolarmente addirittura nella fase più acuta della pandemia e non si è verificata alcuna catastrofe. A chi risponde che questo è “populismo”, spiace dover rispondere che se anche uno come me è giunto a questo grado di esasperazione, vuol dire che siamo arrivati al capolinea. Ma vuol dire anche che bisogna riprendere in mano l’articolo 1 della Costituzione, evidentemente scritto da noti populisti che pensavano che la sovranità dovesse appartenere al popolo. Non in maniera arbitraria, certo, ma nemmeno riducendo le persone a percentuali statistiche e impedendo loro di far sentire la propria voce. A tal riguardo, diciamo anche che l’offesa di veder privatizzare i servizi idrici dopo aver votato espressamente in favore dell’acqua pubblica sarebbe l’ennesimo insulto di una tecnocrazia senza voti, senza consenso e senza maggioranza.
E qui torniamo all’istituto della fiducia, un principio sacro che distingue le istituzioni europee da quelle americane. Affidare al Parlamento il compito di attribuire la fiducia al governo significa, difatti, stabilire che i rappresentanti delle cittadine e dei cittadini conferiscono credibilità e autorevolezza all’esecutivo, dando a esso la possibilità di nascere e di portare avanti le sue idee. Continuare a rifugiarsi dietro la frase fatta, e ovvia, secondo cui nessun governo è stato votato direttamente dal popolo equivale a nascondere la vergogna in base alla quale, dal 2006, siamo stati privati della possibilità di eleggere i nostri parlamentari e dal 2011 non abbiamo un governo che sia uno la cui maggioranza sia stata scelta da noi. Da qui la sfiducia l’antipolitica, il distacco popolare, il degrado dei partiti e la distruzione del nostro tessuto civico. Un partito nato da tutto questo, contro tutto questo, e verrebbe da dire grazie a Dio, anche se personalmente non l’ho mai votato, non può restare insensibile di fronte a dati così allarmanti. Conte, pertanto, ha il dovere morale di impegnarsi in prima persona per provare a porre rimedio a questa vergogna.
Ci sono due vie. La prima è parlamentare, e si basa sull’approvazione di una sana legge proporzionale, più che mai necessaria in seguito alla riduzione del numero degli eletti. La seconda è strategica, e si basa sulla necessità di sciogliere un soggetto che ormai ha fatto il suo tempo e costruire una sinistra degna di questo nome insieme a Bersani, Speranza, Fratoianni e chi vorrà starci, riconnettendo storie, mondi e ideali che per troppo tempo sono stati divisi da pregiudizi incomprensioni e, soprattutto, dai colossali errori che hanno caratterizzato la sinistra della Terza via, innamoratasi, sul finire degli anni Novanta, di un modello socio-economico semplicemente devastante. Quanto al rapporto con il PD, bisogna vedere che partito si presenterà davanti a Conte e ai suoi. Se Letta dovesse fare l’opposto di ciò che sembra voler fare, ossia dar retta alla vasta area renziana, tuttora egemone nei gruppi parlamentari, secondo cui il liberismo è perfetto, il popolo di Seattle altro non era che un insieme di illusi, se non peggio, e Renzi aveva ragione su tutto, dal Jobs Act alla Buona scuola, è evidente che con quel mondo sarà impossibile giungere a un accordo. Senza contare che il Partito Democratico, con la linea ultra-militarista che ha assunto negli ultimi mesi, sta correndo rischi enormi, dato che la base è in fibrillazione e non condivide per nulla un indirizzo che reputa pericoloso e controproducente. Per non parlare poi dei capisaldi su cui si fonda una compagine che era nata con l’idea che la storia fosse finita e che bastasse temperare al centro le pulsioni della sinistra per andare tranquillamente al governo e si è trovata a fare i conti con le conseguenze apocalittiche dei suoi stessi errori, sotto forma di crisi a ripetizione, pandemie e conflitti. Concludiamo dicendo che se nello stesso M5S qualcuno fosse diventato improvvisamnte più draghiano di Draghi, convinto che il politicismo e la manovra di palazzo siano preferibili a un rapporto che oseremmo definire “dossettiano” con il grembo della società, non sarà un gran problema farne a meno. A ciascuno il suo. Non sempre conviene stare tutti insieme appassionatamente, specie se in ballo c’è la necessità di costruire un avvenire decente per le nuove generazioni.
P.S. Dedico questo articolo alla memoria di Vangelis, autore di alcune colonne sonore indimenticabili che hanno scandito le nostre vite e alimentato la nostra passione politica e civile. Aveva settantanove anni. Ci mancherà.

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