Giornalismo sotto attacco in Italia

Sergio Lepri fra la Marsigliese e Bella ciao

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Una volta Sergio Lepri dichiarò: “Nella vita mi hanno salvato due canzoni: la Marsigliese e Bella ciao”. Lo disse con il tono scanzonato che gli era proprio, con quella levità fiorentina che lo aveva caratterizzato per tutta la vita, rispondendo implicitamente anche a coloro che vogliono incasellare la Resistenza o trasformarla nell’ideale di una sola parte politica, da contrapporre all’altra brandendolo come una clava o allontanandosene pericolosamente. Lo disse per ricucire la nostra società divisa e ferita, perché questa era la cifra giornalistica ed esistenziale di Lepri: una visione del mondo che aveva appreso durante la sua esperienza da partigiano e si era portato dietro per tutta la vita. Capita, del resto, che quando uno ha acquisito determinati principî in gioventù, poi gli rimangano dentro. E l’esistenza di Lepri è stata esattamente questo: un omaggio alla democrazia, un monumento alla libertà d’informazione, un simbolo di passione civile e impegno al servizio della collettività. Direttore dell’ANSA dal ’61 al ’90, assumeva i suoi giornalisti dicendo loro di non essere interessato a come votassero e di non volerlo capire leggendo i loro articoli. Poi, già anziano, la sfida di Articolo 21, insieme a un altro grande liberale come Federico Orlando, sempre in nome dell’idea di unire mondi, ricucire strappi, tenere insieme la società, ricostruire ciò che in quegli anni veniva costantemente distrutto dal berlusconsimo e guardare avanti insieme, camminando fianco a fianco, in nome di un’idea di comunità solidale di cui oggi purtroppo si è smarrito il seme.
Gentile e disponibile, Sergio Lepri non si è mai sottratto alla mia curiosità di giovane cronista, non mi ha mai lesinato una risposta, un’esortazione, un consiglio, non è mai stato minimamente arrogante, non mi ha mai fatto pesare, in alcun modo, la sua fama e la sua indiscutibile importanza.
Lepri ha incarnato, al pari di Biagi, Zavoli, Orlando e altri, tutto ciò che il giornalismo dovrebbe essere. Ha raccontato storie, analizzato fatti, interpretato ogni singola vicenda alla luce dei suoi valori profondissimi e non si è mai voluto ergere a protagonista, anche se il prestigio gliel’avrebbe spesso consentito.
Si è posto sempre un passo dietro le notizie, lasciando che parlassero gli avvenimenti e mai le sue convinzioni personali, che peraltro si potevano desumere abbastanza agevolmente dai contenuti della sua prosa.
Anti-fascista militante fino all’ultimo giorno, era preoccupato per il declino del nostro Paese, anche se non rinunciava mai a spendere una parola gentile nei confronti di noi giovani, manifestando fiducia e amicizia, ammirazione ed entusiasmo.
Se ne è andato a centodue anni, con la stessa modalità con cui dava le notizie: restando un passo indietro, con garbo, senza mai pretendere di essere lui la notizia. Eppure lo è, perché oggi davvero piangiamo l’addio di un gigante.

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