A Londra prende il via il processo di appello presso l’High Court di Londra nei confronti del giornalista fondatore di WikiLeaks Julian Assange.
Gli Stati Uniti non demordono, ancorché la stessa giudice inglese avesse tenuto in conto le perizie mediche piuttosto pessimiste sullo stato di salute del nuovo Dreyfus. Assange, infatti, sembra la vittima designata di un sistema di potere che attraversa stati e servizi segreti del vecchio occidente imperialista, quello delle guerre atroci in Iraq e in Afghanistan. Conflitti particolarmente orribili, condotti con armamentari sofisticati, cinica voluttà di distruzione senza pietà neppure per i civili.
Torture e ammazzamenti, conversazioni tra capi di governo coinvolti direttamente o alleati dovevano rimanere nell’oscurità. Il prezioso e tenacissimo lavoro di documentazione della prestigiosa testata online, del resto condotto in collaborazione con famose testate internazionali ora timide e omissive, ha svelato la verità. L’informazione embedded ha nascosto gli accadimenti reali e l’opinione pubblica – senza altre fonti- si sarebbe accontentata della vulgate dominante.
I grandi colpevoli sono andati in giro per il mondo a tenere conferenze ben remunerate e l’eroe civile che ha strappato i veli omertosi rischia – se gli USA riusciranno ad ottenere l’estradizione- una pena di 175 anni di carcere.
Di tutto questo si è parlato in una iniziativa tenutasi qualche giorno fa nella Church House nel cuore di Westminster dove si riuniva il parlamento durante la seconda guerra mondiale. Il confronto (una sorta di contro processo) ha messo sotto accusa gli stati interessati (Stati Uniti, Gran Bretagna, Svezia, Australia, Ecuador dell’attuale presidente) e le rispettive strutture investigative, a partire dalla National Security Agency (NSA). Coordinati dal filosofo croato Srecko Horvat, sono intervenuti Tarik Ali (presente al primo tribunale Russel), Jeremy Corbyn, Ejal Weizman di Forensic Architecture. Parlamentari e giornalisti. Inoltre, hanno portato le loro testimonianze Yanis Varoufakis, Deepa Govin, Darajan Driveer, Daniel Ellsberg (Pentagon Papers), la compagna di Assange Stella Morris che ha raccontato i piani della Central Intelligence Agency (CIA) per assassinare il marito, Edward Snowdon con un intervento dall’esilio cui è costretto, nonché Stefania Maurizi autrice del recente volume Il potere segreto fondamentale per ricostruire l’intera vicenda.
E, presso la camera dei deputati, si è svolta una conferenza stampa promossa dal parlamentare Pino Cabras in collaborazione con Italiani per Assange, DiEM25, Pacelink e US Citizens for Peace and Justice. L’iniziativa aveva l’obiettivo di risollevare una questione dimenticata o scarsamente trattata dalle forze politiche italiane. Con l’eccezione della federazione della stampa, di Roberto Saviano, de Il Fatto e de il manifesto o della efficacissima recente puntata del programma della terza rete televisiva Presa diretta, lo stesso universo mediatico ha rimosso un tema considerato contraddittorio rispetto alla geopolitica prevalente.
Proprio il conduttore della bella trasmissione del servizio pubblico ha coordinato la discussione, arricchita da preziosi collegamenti: da Rebecca Vincent, direttrice di Reporters Without Borders UK, a Paul Jay, a Deepa Driver, ad Antonio Ingroia,a Davide Dormino, a Stefania Maurizi, a Varoufakis, a Chomsky.
Amnesty International, con la sua acquisita autorevolezza, ha lanciato un urlo secco: no all’estradizione, scarcerazione subito. Così ha dichiarato la segretaria generale dell’associazione umanitaria Agnés Callamard, con toni e accenti condivisibili.
Se non vi è un ripensamento da parte egli accusatori, con il riconoscimento dell’applicazione del primo emendamento della Costituzione statunitense che tutela con nettezza la libertà di informazione e il diritto di cronaca, si condanna un innocente e si introduce un precedente giurisprudenziale gravissimo.
Per questo, oltre che per la solidarietà verso una persona che versa in preoccupanti condizioni di salute, è decisivo fermare la barbarie del procedimento. Dove, tra l’altro, diversi giornalisti non sanno ancora se potranno entrare nell’aula per sentire e vedere.
Il governo italiano non può e non deve rimanere inerte. Si terrà il celebrato G20 a Roma nel prossimo fine settimana. Che il caso Assange trovi cittadinanza almeno in una delle varie ed eventuali della riunione.
Qualcosa comincia a muoversi, ancora troppo timidamente, e il tempo è poco.