Dopo Alitalia, Rai resta il crocevia del partitismo corrompente

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Un paio d’anni fa fui chiamato alla Rai di Milano per presentare un progetto ambientale di grande rilievo e di nessun risultato. Era un sabato di prima serata, nei capannoni Rai di via Mecenate. Bastarono poche ore per capire il marcio della Rai: lotte intestine tra “romani” e “milanesi”; studi sgangherati, con attrezzature fatiscenti e polverose, affittati a canoni stellari; per un solo spettacolo maestranze per oltre un centinaio di persone. Il massimo si raggiunse quando si presentò il plastico del mio progetto: posto su rotelle, avrei potuto introdurlo da solo; furono invece in quattro “operai” a portare l’elemento, per un attimo guardai negli occhi gli “operai” ed ebbi un fremito, come di pericolo, chiesi ad un tecnico e mi rispose: “sono esterni, di una ‘cooperativa’ siciliana!”

Gli stessi problemi di sperpero che hanno affossato Alitalia caratterizzano, da sempre, la gestione Rai. La differenza con Alitalia è che l’UE ha detto stop alla ex compagnia di bandiera. Altro elemento caratterizzante è che il CdA Rai può attingere all’infinito dal “Pozzo di San Patrizio” del canone, pagato esosamente da tutti gli italiani, in uno alle altrettanto esose bollette energetiche.

Nessuno dei partiti, ben rappresentati nel CdA, farà mai niente per evitare gli sprechi che, come per Alitalia, danno produzioni e forniture “esternalizzate”, trascurando le risorse interne, con costi che nessun privato potrebbe mai accettare. Ecco che l’ipotesi di privatizzare la Rai è talvolta minacciata.

Il nuovo CdA per le assunzioni dei nuovi giornalisti ha usato il vecchio sistema delle chiamate dirette, senza concorsi. Vorrei vivere fin quando entrerà alla Rai un non raccomandato: immortalità.

Speriamo nella UE. Altra speranza è nella Meloni che, pur in testa nei sondaggi, non ha avuto neanche uno strapuntino nel CdA Rai; speriamo che vigili. Detto da sinistra, ciò è molto triste.


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