Giuseppe D’Avanzo e l’estate dello spread

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Ci manca Giuseppe D’Avanzo, il giornalista delle dieci domande rivolte a Silvio Berlusconi nei giorni degli scandali sessuali e della decadenza della sua esperienza politica. Se ne andò esattamente dieci anni fa, stroncato da un infarto, mentre l’Italia tratteneva il fiato per l’impennata dello spread e l’inizio di una delle fasi più convulse nella vita del nostro paese.
Di D’Avanzo ci manca soprattutto il rigore professionale. Ci manca la sua saggezza, il suo scrupolo nello scrivere, la sua capacità di battersi sempre e comunque dalla parte della verità, anche nei momenti peggiori, quando gli attacchi erano furiosi e le polemiche devastanti. E invece D’Avanzo andava avanti, non si perdeva d’animo, svolgeva il suo lavoro con convinzione e coraggio, si impegnava allo spasimo e alla fine otteneva risultati significativi, mettendo in discussione il potere e restituendo dignità e valore alla nostra professione.
Ricordo quell’estate come se fosse ieri, con il suo carico d’ansia, di incertezza e di paura per il futuro, con lo spread che stava impazzendo, fino ad arrivare, in novembre, alla quota monstre di 575 punti, e con la certezza che una stagione del nostro Paese si fosse definitivamente conclusa e che una nuova fase dovesse aprirsi. Oggi sappiamo di cosa si trattasse, e dobbiamo ammettere, con sincerità, che non è stata migliore della precedente. Se Berlusconi è sempre stato Berlusconi, infatti, i successori sono riusciti nell’impresa di farcelo quasi rimpiangere; ma soprattutto è la politica a essere venuta definitivamente meno in questo triste decennio, fra partiti trasformati in meri comitati elettorali, giornali quasi sempre incapaci di proporre analisi convincenti e di informare correttamente i cittadini, trasmissioni televisive ridotte ad arene o a sfogatoi e un senso di incertezza, rabbia e frustrazione che nessuna compagine sembra in grado di contenere.
Giuseppe D’Avanzo ci manca anche per questo. Era, difatti, una luce nel buio, un cronista di altissimo valore, un punto di riferimento e una garanzia di buon giornalismo, sempre puntuale e preciso, mai prono di fronte ai padroni del vapore, capace di restituire alla nostra professione la dignità e la credibilità che purtroppo già dieci anni fa aveva in larga misura smarrito.
Lo ricordiamo con l’affetto di lettori e di colleghi, con la nostalgia di chi si sente orfano, in parte anche del giornale per cui scriveva, che purtroppo non è più la stessa cosa, e con la sensazione che di cronisti del suo calibro non ne nascano più o, se pure ci sono, e qualcuno sicuramente c’è, non fanno quasi mai carriera.
Asseriva D’Avanzo: “Un’inchiesta giornalistica è la paziente fatica di portare alla luce i fatti, di mostrarli nella loro forza incoercibile e nella loro durezza. Il buon giornalismo sa che i fatti non sono mai al sicuro nelle mani del potere e se ne fa custode nell’interesse dell’opinione pubblica”. Non avrebbe potuto dirlo meglio.
P.S. Dedico quest’articolo alla memoria di Roberto Calasso, intellettuale poliedrico ed editore coraggioso, inventore di un microcosmo, la magnifica Adelphi, che ci ha regalato tanta cultura e altrettanta umanità. Anche lui, in quest’estate di rimpianti e addii, ci mancherà molto.

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