Craxi in “Controvento”

0 0

Bettino Craxi “Controvento”. Era un convinto europeista ma criticò i severi parametri per dare vita all’euro. Era un determinato atlantista tuttavia a Sigonella si contrappose con durezza a Ronald Reagan perché l’Italia era un alleato degli Stati Uniti ma non subalterno.

A Craxi non mancava il coraggio. Nel 1968 attaccò la demagogia agganciata alla contestazione studentesca, nel 1992-1993 il giustizialismo mediatico-giudiziario emerso con Tangentopoli. Scoprì il vero volto del comunismo a Praga, a 20 anni. Nel 1954 mentre passeggiava nell’allora capitale cecoslovacca alcuni arditi praghesi gli dissero in francese: «Guardate che qui non è come pensate in Occidente…Qui c’è un regime di polizia».

Il giovane socialista rimase sconvolto da quelle parole, racconta Fabio Martini in “Controvento. La vera storia di Bettino Craxi”. Egli come Pietro Nenni in quegli anni pensa ancora «che i compagni dell’Est stiano costruendo società socialiste», scrive Martini nel suo libro edito da Rubbettino. Angosciato domandò chiarimenti a Carlo Ripa di Meana, con lui a Praga per partecipare a una conferenza di studenti socialisti e comunisti europei. Ripa di Meana, un giovane comunista poi divenuto socialista, gli confermò quella drammatica realtà. L’autore, acuto notista politico de La Stampa, commenta: «Praga si trasforma in una di quelle illuminazioni che cambiano il senso di una vita».

Craxi, nato a Milano il 24 febbraio 1934 segno zodiacale pesci «ascendente squalo», come amava ironizzare, navigò “controvento” in politica estera e in politica interna. Da allora fu un socialista autonomista, riformista, anticomunista, fedelissimo di Nenni che ruppe con Mosca nel 1956, dopo l’invasione sovietica dell’Ungheria. Aveva di fronte un problema enorme: il Pci era il più grande partito comunista dell’Occidente, aveva l’egemonia politica e culturale sulla sinistra italiana.

Craxi nel Psi cominciò dalla gavetta: rappresentante del Partito socialista a Sesto San Giovanni, la Stalingrado d’Italia. Poi via via consigliere comunale a Milano, assessore, deputato, segretario del Psi, presidente del Consiglio. Da una posizione di assoluta minoranza nel Psi (la corrente autonomista aveva appena il 10% del partito) andò “controcorrente” e la spuntò: divenne segretario al posto di Francesco De Martino di un partito moribondo (nel 1976 aveva ottenuto appena il 9,6% dei voti contro il 34,4% del Pci e il 38,7% della Dc).

Restituì orgoglio e fiducia alla base socialista. Delineò una Italia più moderna e più giusta rompendo del tutto i ponti col marxismo-leninismo. La lotta fu doppia: contro il dominio della Dc sul governo e contro quello del Pci sull’opposizione. Lanciò il “nuovo corso socialista” basato sul Psi autonomista, riformista, modernizzatore, europeista, atlantista, entrando in rotta di collisione con Enrico Berlinguer che si dischiarava ancora leninista. Appoggiò la battaglia delle trattative umanitarie con le Brigate Rosse per salvare la vita di Aldo Moro mentre democristiani e comunisti erano per la cosiddetta “fermezza”.

Non sopportava ogni tipo di repressione della libertà. Sostenne sul piano politico e finanziario le battaglie dei partiti socialisti e progressisti contro le dittature fasciste (in Cile, in Spagna, in Portogallo, in Grecia), i movimenti per l’autodeterminazione dei popoli (come i palestinesi). Analogamente appoggiò i movimenti dei dissidenti dell’Unione Sovietica e dei paesi dell’est europeo scatenando una furibonda reazione di Mosca. Ma il mito della Rivoluzione d’Ottobre era ancora forte. La Biennale di Venezia del 1977 sul dissenso nell’Est fu bersagliata anche da Berlinguer. Il segretario comunista considerava Craxi un avventuriero e avventurista. La prima imputazione era di volere la totale autonomia del Psi. La segreteria comunista si espresse «criticamente» contro la Biennale del dissenso voluta dai socialisti e «di questo terranno conto i compagni intellettuali».

Respinse i tentativi di prevaricazione e d’interferenza politica dei grandi gruppi economici e finanziari. Nei primi anni ’80 ricevette una tempestosa telefonata di protesta di Cesare Romiti, allora duro amministratore delegato della Fiat. Protestava per un corsivo uscito sull’ Avanti!, scritto dal vostro cronista, perché lo dipingeva come il braccio armato dell’illuminato Gianni Agnelli. Craxi replicò a Romiti: «Rientra nell’autonomia giornalistica dell’Avanti!». La risposta mi fece molto piacere.

Dalla fine degli anni ’70 cominciarono i successi: l’elezione del socialista Sandro Pertini al Quirinale, la sconfitta del compromesso storico Dc-Pci. Nel 1983 Craxi divenne il primo presidente del Consiglio socialista: il patto anti inflazione (contestato dal Pci) siglato con i sindacati, esclusa la corrente comunista della Cgil, pose le basi di una grande crescita economica e dell’occupazione in Italia. Un nuovo Concordato con il Vaticano superò quello firmato nel 1929 da Benito Mussolini.

Luci e ombre si accavallano. Propose la Grande riforma delle istituzioni ma non decollò mai. Tangentopoli decretò la fine della prima Repubblica, lo sterminio politico dei socialisti e di Craxi. Pagò due scelte. La prima: non capì l’arrivo dell’onda giustizialista e praticamente la fronteggiò da solo. Commise l’errore di gestire anche personalmente i finanziamenti irregolari, non delegando tutto al segretario amministrativo. Il segretario socialista considerava l’autonomia finanziaria del partito come la premessa della sua autonomia politica, in grado d’impedire ogni subalternità. Dal dopoguerra tutti i grandi partiti italiani (in particolare la Dc e il Pci) avevano goduto di sostanziosi finanziamenti irregolari da Stati esteri e da aziende, come disse nel 1992 in un famoso discorso non smentito alla Camera.

Però il Cinghialone, come fu soprannominato per la sua mole e la sua combattività, per sé non intascò mai soldi. Lo riconobbe anche Gerardo D’Ambrosio. Uno dei magistrati di Mani Pulite, osservò: «La molla di Craxi non era l’arricchimento personale, ma la politica». Fu condannato per corruzione e finanziamento illecito al partito. Morì a quasi 67 anni in Tunisia. Il 19 gennaio del 2000 non superò un delicato intervento chirurgico. Fu un capro espiatorio. Forse una operazione in Italia avrebbe potuto salvarlo. Andò ancora una volta “controvento”: rifiutò di tornare in Italia in manette. Aveva annunciato: «Tornerò in Italia solo da uomo libero».


Iscriviti alla Newsletter di Articolo21