Madrid non è la Spagna ma questo voto è un segnale di cui le sinistre devono tenere conto

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Il voto anticipato nella Comunità di Madrid si è risolto col trionfo della destra e della candidata Isabel Díaz Ayuso, il crollo del Psoe madrileno che viene sorpassato in voti dalla lista di Más Madrid e diventa il terzo partito (era il primo due anni fa), l’abbandono della politica da parte del leader e candidato di Unida Podemos (UP) Pablo Iglesias, la scomparsa di Ciudadanos (C’s). Un trionfo per Ayuso e il Partido popular (Pp) che, anche se si ferma a quattro seggi dalla maggioranza assoluta (69), raddoppia voti e seggi rispetto al 2019 e gli basta l’astensione di Vox (che guadagna un seggio) per governare, avendo da sola più di tutte le sinistre insieme. Alta la partecipazione al voto che dal 64,27 per cento cresce al 76,25%.

Il Pp passa da 30 a 65 seggi e dal 22,2 per cento al 44,7. Il Psoe crolla da 37 a 24 seggi, dal 27,3 al 16,8, da primo a terzo partito. Más Madrid, la lista nata dalla scissione di Podemos, diventa il secondo partito e sfiora il 18 per cento con 24 seggi, aveva il 14,7 e 20 seggi. Unidas Podemos cresce, dal 5,6 per cento al 7,2 (da 7 a 10 seggi). Cresce anche Vox, dall’8,88 per cento al 9,1 (da 12 a 13 seggi). Scompare C’s che col 3,57 per cento non raggiunge il quorum e non ottiene seggi (ne aveva 26).

Qualche considerazione generale, a partire dai risultati.

Son tempi duri per i moderati. C’s scompare e il Psoe sprofonda, si dirà che dipende dalla radicalizzazione che non li premia. Forse ma non spiega tutto. Ci sono i percorsi dei singoli partiti, le scelte e le performance, il contesto da valutare. Guardiamo a questi più avanti.

Seconda considerazione generale, questa volta la mobilitazione non ha premiato le sinistre ma le destre. Un dato a cui fare attenzione soprattutto per il Psoe perché sinora è sempre stato il contrario, su scala locale e nazionale un alto afflusso favoriva i socialisti.

Da non perdere di vista un dato di base: Madrid è Madrid, non la Spagna, con dinamiche proprie specifiche. Eppure quanto avviene a Madrid è anche l’elaborazione di un modello, vincente, nell’ambito della ricomposizione delle destre spagnole e europee. Quale modello? Neoliberale duro, innanzitutto. Milton Friedman, la Scuola di Chicago, quel classico che ora ci si vergogna un po’ a citare in società ma che è sempre presente nei cuori, nei pensieri e nelle scelte politiche ed economiche. Abbassamento delle tasse ai ceti alti e alle imprese finanziato con tagli del welfare. Abbassamento delle tasse che diventa dumping fiscale per attrarre investimenti, capitali e sedi sociali, nazionali e esteri, sottraendoli a altri territori della Spagna e dell’Europa meridionale. La Comunità di Madrid, la più ricca della penisola, è quella che meno spende, in percentuale rispetto al Pil, per sanità, educazione, servizi. Neoliberale quindi, con caratteristiche definibili trumpiste. Per il classismo imperante affiancato al discorso anti-élite, per l’uso del fake nel dibattito pubblico, per la presenza massiccia e efficace su quei costruttori (e distruttori) di senso che sono i social, per il voler essere la parte che rappresenta il tutto, per la misoginia e l’antifemminismo, per il racconto del politicamente corretto vs. libertà che diventa, in campagna elettorale, lo slogan “Comunismo o libertà!”, per difendere “lo stile di vita di Madrid”.

E la pandemia?

L’autonomia che ha avuto la gestione più “discussa” dell’epidemia da Covd-19, l’unica in Spagna, assieme alla Catalogna, ad aver impedito il trasferimento degli anziani contagiati dalle case di cura agli ospedali, quella coi numeri peggiori in costi umani, che ha messo in fila strafalcioni, piccoli scandali e cattiva organizzazione, che ha chiuso i quartieri popolari e lasciato aperti quelli ricchi senza nessun rapporto coi numeri, che ha distribuito scatole di Pizza hut nelle scuole con le mense chiuse, che ha sprecato denaro per strutture fantasma, esce premiata dalle urne. Lo scontro continuo col governo nazionale, mentre altre comunità del Pp collaboravano e abbattevano morti e contagi, è forse riuscito a rappresentare la “fatica epidemica” di una parte consistente della società. La difesa delle terrazze dei bar come simbolo della Madrid che sa divertirsi può avere avuto un effetto catartico rispetto alle ristrettezze imposte e autoimposte. Nel grigiore della paura la luce del divertimento, l’espulsione del dubbio, la rivendicazione dell’eccezione. Anche qui, ogni risposta non è altro che parte di un complesso di cose.

Il risultato e i partiti.

La trionfatrice Isabel Díaz Ayuso e il Pp. Quello madrileno è lei, con la regia di José María Aznar, il leader che portò il Pp al potere e fu due volte capo del governo, che ispira e mette a disposizione i consulenti politici e i comunicatori, i facilitatori e i mediatori, i punti di incontro ufficiosi tra imprese e amministrazione. Il modello di una destra nuova, padrona dei social e amata dai media che finanzia e con cui stringe affari. L’ultimo, svelato da un reportage congiunto delle testate on-line Contexto e Publico a firma di Miguel Mora e Pilar L. González de Lara, comporta un contratto per oltre 14 milioni di euro e la concessione di una licenza per università privata al potente gruppo editoriale Planeta (joint venture di cui fa parte anche l’italiana De Agostini che sta investendo nel comparto della formazione internazionale), principale azionista della prima e principale rete televisiva privata, Antena3, e della catena radiofonica nazionale Onda Cero.

Ma questa Madrid è anche un’altra forza centrifuga che scuote il paese, un’altra manifestazione della crisi della Spagna delle Autonomie. Il laboratorio politico ed economico della Comunità di Madrid pratica un “secessionismo di fatto” dal sistema della Spagna delle Autonomie – vero contraltare all’indipendenza-fake catalana – che, evocando la rappresentanza dell’idea nazionale della Spagna “Una e indivisibile”, si allontana da ogni solidarietà nazionale. Forte delle competenze autonomiche, abbassa le tasse, quindi le rimesse centrali, quindi la redistribuzione delle risorse nella comunità nazionale.

Per il Pp è un trionfo non esente da rischio di conflitti. Ayuso è stata per tutta l’epidemia la vera alfiera dello scontro tra Pp e governo, la vera opponente di Pedro Sánchez, lasciando il secondo piano il segretario nazionale Pablo Casado. Madrid è un modello che fagocita tutto e ci sono altri modelli di centrodestra che sono diversi, che hanno collaborato col governo centrale contro l’epidemia, che prevedono ancora un welfare nella loro idea di società. Una criticità potenziale nel futuro, adesso più rosa, del Pp, quando il modello Madrid entrerà nel dibattito per la guida del partito.

Guardiamo ora a chi ha perso di più. Ciudadanos, che scompare, e il Psoe. C’s completa la sua parabola, apparentemente definitiva. Nato in Catalogna come offerta a un elettorato socialista immigrato disorientato dalla svolta nazionalista del socialismo catalano, si è proposto come partito nazionale, ben visto da Bruxelles e dal settore imprenditoriale. Ha conquistato moltissimi voti diventando il potenziale sostituto di un Pp travolto dagli scandali, un partito liberale, moderato, moderno, protetto. Il leader Albert Rivera ha dilapidato tutto nella corsa a destra con Vox e Pp in occasione della crisi catalana. Che andasse così si sapeva, il dubbio era su chi avrebbe intercettato maggiormente la fuga del suo elettorato.

Non è stato il Psoe, per cui forse la sconfitta è più pesante ancora, perché non prevista in queste dimensioni e per le sue responsabilità. Locali, nell’assenza e vacuità della sua opposizione durante la gestione dell’epidemia. Nazionali, per le responsabilità di Sánchez nel determinare le condizioni che hanno portato al voto anticipato di Madrid e a questa pesante sconfitta.

Tutto è cominciato il 10 marzo col blitz di Murcia, un tentativo di ribaltone con C’s, fallito lì e altrove, che ha determinato l’immediato scioglimento della legislatura madrilena da parte di Ayuso, in una corsa contro il tempo per anticipare la presentazione di una mozione di sfiducia. La segreteria Sánchez ha anche controllato strettamente campagna e processo elettorale della federazione madrilena. Sánchez ha aperto un conflitto su più fronti e ha perso in tutti e in quello che più contava, Madrid, drammaticamente. In politica queste cose si pagano. Le opposizioni interne, sinora messe all’angolo, e i salotti economico-finanziari e mediatici, che lo hanno avversato con incomprensibile durezza, si rifaranno sentire. Per Sánchez a Madrid fallisce anche un disegno strategico, lo spostamento verso Ciudadanos, la cui scomparsa chiude la partita. L’escalation iniziata in Murcia, che forse voleva precedere e contrastare la fine di C’s dandole un ruolo nuovo, ne ha accelerato la scomparsa.

L’altro protagonista del voto, con Ayuso, è stato Pablo Iglesias. A sorpresa si è candidato lasciando la vicepresidenza del governo nazionale. A sorpresa, è riuscito a cambiare il copione della campagna che sembrava già scritto, imponendo la questione antifascista. A sorpresa, ha annunciato il suo ritiro dalla politica la notte dei risultati.

Polarizzatore di giudizi e sentimenti, comunque se ne pensi Iglesias è stato protagonista e artefice di una stagione di cambiamento della Spagna. È stato anche il politico più contrastato e odiato, oggetto di persecuzioni, nel pubblico e nel privato, dossieraggi, , campagne stampa costruite sulla base di quei falsi dossier, azione di apparati deviati dello stato. Un percorso con ombre – il settarismo, le espulsioni, il liderismo esasperato, la verticalità che hanno immiserito e allontanato un patrimonio partecipativo costruitosi nell’esperienza dei viola, la scelta della conquista dell’egemonia a sinistra che probabilmente ha fatto perdere a lui e al paese una grande occasione di cambiamento – di quello che è stato comunque un protagonista degli ultimi sette anni della politica spagnola e della fine del bipartitismo. Iglesias ha salvato Up dalla scomparsa pronosticata dai sondaggi ma la scelta di riproporre il frontismo, “La battaglia di Madrid”, è stata un errore. La polarizzazione ha favorito la destra e allontanato i temi concreti dal dibattito. Se ne va con dignità e questo apre una fase nuova anche in Podemos, le cui redini dovrebbero andare in mano alla ministra del Lavoro Yolanda Díaz, il che dovrebbe anche rendere più sereni i rapporti interni all’alleanza socialcomunista di governo.

Ayuso trionfa ovunque, nei quartieri eleganti come in quelli popolari, conquistando anche le roccaforti delle sinistre. Aver rappresentato la fatica pandemica ha di certo contato molto nel successo ma le sinistre non sono riuscite a parlare ai loro elettori né a intercettare il voto moderato. L’allarme sulle sorti della democrazia non è stato raccolto e, contemporaneamente, le questioni concrete sono state messe da parte. Madrid non è la Spagna ma questo voto è un segnale di cui le sinistre devono tenere conto.

[https://ctxt.es/es/20210401/Politica/35712/Ayuso-Grupo-Planeta-universidad-privada-Atresmedia-Jose-Creuheras-Mauricio-Casals.htm]


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