Farmajo riabilita il signore della guerra Ali Mahdi

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Si è spento per Covid-19 a Nairobi, lo scorso 10 marzo, il warlord Mohamed Ali Mahdi che per tutti gli anni Novanta, col rivale gen. Mohamed Farah Hussein, detto Aidid (il vittorioso), mise a ferro e fuoco Mogadiscio provocando l’uccisione di decine di migliaia di somali in un genocidio mai visto nella storia del Paese, sottraendo e distruggendo beni, provocando una diaspora di proporzioni bibliche e vendendo alle ecomafie il territorio.

Eppure, l’attuale Presidente uscente Mohamed Abdullahi Mohamed, detto Farmajo (Formaggio), gli ha riservato i funerali di Stato con tre giorni di lutto nazionale e di bandiere a mezz’asta.

Alle rimostranze sollevate da una parte della popolazione, si risponde da Villa Somalia che quegli onori sono stati tributati in segno di pacificazione dimenticando che, per parlarsi di conciliazione, occorre che i torti siano alle spalle e le vittime del genocidio onorate, mentre a Mogadiscio sono ancora irrisolti i tanti problemi lasciati dalla guerra civile, primo fra tutti la stessa guerra civile che cova ancora sotto la cenere e può riaccendersi ad ogni scelta cruciale per il Paese.

Il mondo si accorse dell’esistenza di Mohamed Ali Mahdi il 28 gennaio 1991. Siad Barre aveva lasciato spontaneamente il potere che irradiava da Villa Somalia appena cinque giorni prima, dopo che il 30 dicembre era scoppiata a Mogadiscio una rivolta armata che era stata a sua volta preceduta, in maggio, dalla pubblicazione del “Manifesto” col quale 144 personalità del Paese, in rappresentanza di tutti i clan, chiedevano la convocazione di una conferenza di riconciliazione. Siad Barre era in effetti riuscito a sopire le differenze claniche chiamando in posti di comando esponenti di tutti i clan e diffondendo l’istruzione per allevare uniformemente e diffusamente i più giovani, così da offrire loro pari opportunità di emergere prescindendo dalla tribù di appartenenza, ma le cabile sono dure a morire e nel 1990 era dunque venuta al pettine una serie di conflitti culturali e clanici che, in una pura ottica dittatoriale, avrebbe dovuto essere repressa ancor più rigorosamente che in passato per evitare una rivoluzione generale. Siad Barre rifiutò di spargere il sangue somalo e abbandonò Villa Somalia lasciando intatta Mogadiscio e l’intera struttura burocratica statale.

In quei giorni di totale vuoto di governo, una parte del gruppo dello United Somali Congress (USC) – in prevalenza composto da membri del clan Hawiye – nominò presidente della Repubblica Mohamed Ali Mahdi, della tribù Abgal, e la prima cosa che questi decise fu lo scioglimento dell’esercito invitando i soldati a consegnarsi alle milizie claniche.

Gli alti vertici militari e della burocrazia compresero il pericolo e spedirono precipitosamente all’estero i loro familiari iniziando un esodo che prosegue fino ai giorni nostri, mentre gli sbandati e i detenuti liberati si dedicavano a barbare uccisioni, stupri, furti ed occupazioni di proprietà pubbliche e private ormai disabitate per bivaccarvi.

Le notizie del saccheggio in atto a Mogadiscio richiamarono dalle campagne masse di diseredati attirati dalla speranza di bottino. Ridottesi rapidamente a ben poco nuove occasioni di devastazioni e ruberie, l’ala militare del medesimo gruppo USC, sotto il comando del generale Muhammad Farah Aidid, del medesimo clan Hawiye di Ali Mahdi, ma della tribù Habr Ghedir, respinse la nomina di Ali Mahdi a Presidente e ne scaturì, dal 17 novembre 1991, la guerra civile che produsse decine di migliaia di morti e centinaia di migliaia di rifugiati. Il campo profughi più grande del mondo è tuttora quello di Dadaab considerato, addirittura, la quarta città più popolosa del Kenya, lo Stato in cui è stato creato per dare rifugio alle popolazioni somale inseguite dalla guerra civile e dalla conseguente carestia.

La comunità internazionale provò a placare i disordini con ripetuti interventi di pace. Nell’aprile 1992 promosse la missione ONUSOM anche per permettere l’arrivo di aiuti umanitari; a dicembre 1992 venne avviata la missione “Restore Hope”; a metà 1993 partì la seconda missione ONUSOM. Nel 1995 il fallimento della “Restore Hope” portò via anche tutte le altre missioni di pace e la Somalia venne abbandonata al suo destino.

I Signori della guerra Ali Mahdi e Aidid apparivano del tutto ingovernabili. Centinaia di bande armate operavano sul territorio fuori da ogni controllo. Aidid, addirittura, attaccò il 5 giugno 1993 le truppe del contingente di pace provocando 25 morti, 10 dispersi e 54 feriti. Di lì, la recrudescenza degli attacchi. Un elicottero americano uccise più di 50 somali in una casa privata di Mogadiscio il 12 luglio 1993 favorendo le simpatie della popolazione per i Warlords.  Il 3 ottobre 1993 le milizie di Aidid abbatterono un elicottero americano e morirono 18 Rangers mentre i feriti furono 75. La vicenda fu narrata nel film “Black Hawk down”.

Ogni tentativo di conciliazione tra i due litiganti fallì mentre le altre fazioni sparse sul territorio si dividevano fra i due capi di Mogadiscio scontrandosi con i rivali a livello locale.

Nel dicembre 1997, dopo che il gen. Aidid era morto l’anno precedente in battaglia lasciando spazio a suo figlio Hussein, le fazioni somale si riunirono al Cairo dove Ali Mahdi venne confermato Presidente della Somalia rimanendo in carica fino al 2000, quando al suo posto venne nominato Salad Abdiqasim Hassan.

Un così lungo periodo di potere, in un Paese ridotto alla fame, non troverebbe spiegazione senza i finanziamenti che Ali Mahdi si procurò attraverso la vendita alle ecomafie dei permessi di scaricare in mare e nell’entroterra i rifiuti tossici e radioattivi provenienti dall’Europa.

Lo scandalo venne alla luce a seguito dello tsunami della fine di dicembre 2004 che rivoltò il fondo dell’Oceano Indiano mandando a spiaggiare sulle coste somale decine di contenitori approssimativamente sigillati, molti dei quali si aprirono spandendo nell’area il loro mortale inquinamento.

Il 22 febbraio 2005 l’UNEP pubblicò un rapporto sugli effetti dello tsunami che dedicava un intero capitolo alla Somalia. Da quelle pagine emergevano dispersioni di uranio, cadmio, mercurio, rifiuti ospedalieri e delle industrie farmaceutiche europee. Particolarmente inquinate risultavano le zone di Obbia e di Warsheikh, due porti minori a nord di Mogadiscio. Quel rapporto già rivelava le conseguenze sulla salute degli abitanti locali con malformazioni fetali, malanni rari, difficoltà respiratorie acute e gravi problemi dermatologici.

I verdi europei entrarono in possesso di contratti siglati da Ali Mahdi nei quali si parlava di consentire lo scarico di 10 milioni di tonnellate di rifiuti tossici verso il corrispettivo di 80 milioni di dollari. Il costo di soli 8 dollari a tonnellata, quando le ecomafie vendevano ai loro clienti lo stesso servizio a 1000 dollari, procurò guadagni spropositati che i trafficanti volevano salvaguardare ad ogni costo: anche a costo della vita di chi voleva indagare, come la giornalista del TG 3 Ilaria Alpi e il cineoperatore Miran Hrovatin. Nessuno è mai stato in grado di stabilire quali e quanti rifiuti vennero scaricati in mare o sepolti nel territorio.

Il guadagno di 80 milioni di dollari non andò a beneficio della popolazione somala, ma permise ad Ali Mahdi di accedere al mercato delle armi per proseguire la sua battaglia contro la tribù nemica. Con parte di quella ricchezza Ali Mahdi ha costruito un albergo nel centro di Mogadiscio elevato per 11 piani (la Ali Mahdi Tower), il più alto palazzo della capitale, ma non si è mai pentito dei crimini commessi ritenendosi sempre in carica come warlord e, come tale, pronto – come disse in una recentissima intervista – ad imbracciare nuovamente il fucile che diceva di tenere carico sul letto qualora il Presidente uscente Farmajo non avesse immeditatamente lasciato Villa Somalia dopo la scadenza del suo mandato lo scorso 8 febbraio.

Bisogna dire che Mogadiscio non è mai uscita dall’orbita dei warlords che tuttora comandano disponendo del potere economico che si esprime anche attraverso attività legali di supporto ai commerci minori nonché di importanti arsenali in città, di milizie armate a protezione dei loro beni e della loro incolumità oltre che essere usate come deterrente contro eventuali attacchi rivali. Una capitale spartita tra le mafie.

Ancora oggi Mogadiscio è spaccata in due come durante la guerra civile. La “green line” che divideva fisicamente la capitale tra il nord di Ali Mahdi e il sud di Aidid non è più visibile ma il suo effetto permane attraverso l’occupazione, da parte dei rispettivi sostenitori, delle proprietà che erano state lasciate dagli abitanti fuggiti agli orrori degli scontri armati.

Al permanere di questi soprusi, che suscitano continui conflitti da parte degli espropriati, il potere centrale non è stato in grado di opporsi per ripristinare la legalità. Per vero, il Sindaco di Mogadiscio Abdirahman Omar Osman, noto come Ing. Yerisow (il piccolo), promosse diversi tentativi per restituire le case ai legittimi proprietari, ma venne ucciso nell’attentato kamikaze del 24 Luglio 2019 ed al suo posto Farmajo ha nominato Omar Mohamud Mohamed, detto Filish (storpiatura dell’inglese “finish”).

È vero che Filish è stato Ministro degli affari religiosi in un governo di transizione tra il 2004 e il 2009, ma è altrettanto vero che, prima, era stato un noto warlord e, come è stato acutamente osservato, con la nomina a sindaco ha ottenuto per via politica ciò che non era riuscito ad ottenere con l’abilità militare. Filish aveva infatti guidato un gruppo di milizie per quasi un decennio tra la fine degli anni ’90 e i primi anni 2000 perdendo due battaglie per il controllo della capitale. La prima schierandosi con Ali Mahdi contro Aidid e la seconda combattendo contro l’Unione delle Corti islamiche che presero il potere nel 2006.

La scelta di un ex signore della guerra come sindaco di Mogadiscio, dopo l’esperienza socialista dell’Ing. Yerisow – la cui morte aspetta ancora giustizia – è stata un’altra mancanza di visione di Farmajo che si è dimostrato un restauratore dei potentati del periodo peggiore della guerra civile e colui che riabilita i warlord, morti o viventi, apparendo come un loro ospite pro tempore a Villa Somalia piuttosto che un pacificatore.

Fonte: Blog Repubblica


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