A proposito di Nino Manfredi. E di Geppetto

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A proposito di Nino, nato un secolo fa e nome eccelso dell’imperitura, e assai folta, Accademia dei Sottovalutati. Non ho la pretesa di risarcirlo in poche righe, anche perché la sottovalutazione, in qualche modo, partiva da lui. Nino Manfredi- chi lo ha conosciuto bene lo sa- ha avuto il torto di non considerarsi mai un gigante. Ma lo è, lo è stato e lo sarà.

Voglio spendere qualche riga solo sul suo Geppetto di quell’immenso “Le avventure di Pinocchio”di Comencini che la Rai ha per fortuna deciso di rimettere in questi giorni in palinsesto. Cinquant’anni quasi ( lo sceneggiato tv, oggi diremmo ‘miniserie’, è datato 1972 ), e nemmeno una ruga. Con quel Geppetto che giganteggia, con tutto il rispetto per gli autorevolissimi competitors su grande schermo, tanto sul Carlo Giuffrè della versione Benigni che sul Benigni medesimo della versione Garrone.

Se c’è una giustizia, agli Oscar 2021 le nomination di Garrone per trucco e costumi dovranno ottenere le statuette che meritano. Ma c’è una modernità nel Geppetto di Nino Manfredi che oggi, in piena era Covid, risalta di più. Quello di Nino è un umanissimo artigiano di questi giorni, impoverito ma non miserando, con la dignità di chi – pur non disponendo di partita Iva- dovrebbe accedere ai sostegni di Stato. Come dice Pinocchio a Mangiafuoco, Geppetto di mestiere “ fa il povero”. E’ un attualissimo dato sociale, che oscura quello professionale.

Quello di Collodi è un testo da esplorare senza interruzione. E riguardando Comencini ti accorgi che aveva colto sfumature ‘in avanti’ sfuggite ai suoi successori, anche per i tempi più stretti permessi dal grande schermo. Esempio : quel ciocco di legno parlante, già vivo di suo prima di essere forgiato in burattino, anticipa l’ambientalismo di Greta. Il Grillo Parlante che assume diverse forme animali è ancora una volta la voce della Natura medesima, e della sua saggezza ignorata.

Ricordo ancora il mio stupore quando, al mio primo incontro con Patti Smith, mi citò “Pinocchio”tra i suoi massimi testi di etica. Il Bene e il Male, la redenzione e il percorso di formazione a misura dei 7 anni della sua prima lettura.

Ricordo anche il batticuore con cui si attese (non ero la sola) il ‘parto’di Roberto Benigni, con quel Paese dei Balocchi che avrebbe potuto rappresentare, in metafora, l’edonismo berlusconiano dell’epoca. Vincenzo Cerami, che scriveva con Benigni, mi teneva aggiornata sugli sviluppi dello script. Ma a un certo punto mi disse che, per rispetto del testo, la potenza profetica di Collodi sulla società consumista a venire non sarebbe stata rivestita di riferimenti politici. A torto ? A ragione ? Ai posteri l’ardua sentenza.

Continuo a credere che il Geppetto di Nino Manfredi e il Pinocchio di Comencini abbiano saputo leggere meglio di tutti nel futuro imprevedibile di questo nostro Paese, che i burattini prigionieri della scena in cui sono attori somiglino dolorosamente al popolo di artisti piagati dai teatri chiusi, che il Gatto e la Volpe di Franco Franchi e Ciccio Ingrassia siano i truffatori, oggi, di partite milionarie di mascherine. Per riconoscere i veri capolavori, e per riconoscere la sommessa, immensa statura del silenzioso antieroe di “Café Express”, forse, occorre la giusta distanza.


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