Recovery Plan: l’editoria è solo un inciso o una parentesi?

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Missione 1, seconda componente del Recovery Plan: qui c’è un cenno incidentale al comparto dell’editoria e della filiera della stampa, risolto in meno di una riga. Siamo all’interno del capitolo cruciale della digitalizzazione, segnalato dall’unione europea come un punto cardine per l’assegnazione delle risorse.

Ma l’universo dei giornali, alle prese con una transizione impervia, di intensità almeno omologa a quella della rivoluzione di Gutenberg, meriterebbe una trattazione specifica. Anche per dare senso ad un progetto che evoca nel titolo la ripresa e la resilienza. Quest’ultimo è un concetto importante, ancorché reso esausto dall’abuso retorico che se ne fa. Indica la capacità di fronteggiare positivamente eventi traumatici e le testate giornalistiche stanno passando – appunto- a piedi scalzi e dalla parete nord la frontiera dell’on line.

Se è vero che il Next Generation Europe riguarda gli investimenti pluriennali e non si deve disperdere in mille rivoli, c’è da  dubitare che il documento italiano mantenga simile taglio luterano. E, comunque, poche cose sono più strategiche della diffusione della lettura, precondizione per la crescita delle identità democratiche. A cominciare dalla rieducazione all’utilizzo dei giornali  per generazioni digitali immerse in modo manicheo nel mondo della rete e dei social.

Un investimento quinquennale straordinario per facilitare la riconversione tecnologica senza lasciare morti e feriti sul campo sarebbe indispensabile. Attenzione. Non si parla solo di ammodernamento del parco dell’hardware delle redazioni, bensì della creazione di nuove forme di lavoro e di rivoluzionamento degli stessi ambienti produttivi. Altrimenti il rischio è che si salti dall’età analogica direttamente alle stanze alla Blade runner dell’intelligenza artificiale.

Insomma, il capitolo dell’editoria merita tutt’altro approccio, volto a costruire – in salsa digitale- quelli che i sindacati un tempo chiamavano i centri stampa pubblici. Vale a dire luoghi di eccellenza aperti e concessi a prezzi calmierati all’attività giornalistica, stabilizzata e precaria.

Le figure professionali inesorabilmente si moltiplicheranno, superando la versione nobile e letteraria della scrittura lenta. Tuttavia, è essenziale che vi sia un’adeguata provvista finanziaria per garantire alle attività diversamente giornalistiche di essere seriamente contrattualizzate, rimpinguando le casse esauste dell’istituto di previdenza della categoria. Mentre si parla di innovazione, assistiamo – infatti- all’impoverimento crescente del lavoro intellettuale, ridotto spesso in  condizioni schiavistiche.

Non basta qualche credito di imposta. Serve un vero e proprio piano per i saperi del nuovo millennio, prima che il tempo corra e l’ignoranza renda i cittadini dei sudditi inermi.

Non solo. Una visione adeguata non considera lo stesso strumento digitale una mera opportunità tecnica, bensì l’occasione per ripensare una struttura che fa acqua da tutte le parti. In meno di dieci anni le vendite in Italia si sono dimezzate e la curva, si vedano i dati recenti, non ha avuto sussulti significativi neppure nella fase del lockdown, salvo una modesta crescita degli abbonamenti alle edizioni digitali. Mentre la televisione generalista ha accresciuto – imperterrita- il suo primato nella fruizione di informazione. A proposito, perché oltre alle consuete rassegne stampa, trasmesse in video a tarda sera, non si immaginano programmi di educazione alla lettura dei giornali?

Il sottosegretario con delega Andrea Martella, proprio sulle colonne de il manifesto, ha illustrato una serie di spunti per la tanto attesa riforma. La riforma però non è una bacchetta magica, bensì un’aggregazione sistemica di varie articolazioni. E il Recovery Plan c’entra, eccome. Anzi. Lì si evincono le effettive intenzioni per i prossimi anni.

In ogni grandangolo, Kubrick docet, ogni singola immagine ha bisogno di essere a fuoco. Già, il cosiddetto milleproroghe ha iniziato l’iter parlamentare. Si riparlerà del fondo per il pluralismo e del rinvio della tagliola? Nel lungo periodo saremo tutti morti, scriveva il celebrato economista.

Fonte: “Il Manifesto”


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