L’Arena di Renzi

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Non sarà l’Arena, ma la demagogia di Renzi ieri sera sulla Sette ha potuto dilagare come non mai. Giletti porgeva le domande alle sue risposte alzando la voce come sempre e lui continuava imperterrito: L’Italia rischia l’osso del collo…un disastro senza precedenti…non mi preoccupo per me, mi preoccupo per i miei figli..” e così via. Intendiamoci, niente di nuovo per chi lo ha ascoltato in questi anni.

Ben diversi i toni del discorso di Conte – che il leader di Italia viva aveva definito “un vulnus per la democrazia” – nel discorso di oggi alla Camera, dove il premier si limita a manifestare “un certo disagio” per una crisi “incomprensibile” accolta con “profondo sgomento” dal Paese. Non cita Renzi ma si riferisce a Iv denunciando le “continue pretese e i continui rilanci concentrati sui temi divisivi”. Invita ad un’ “alleanza europeista e contro i sovranisti”. Chiede ai partiti della maggioranza e ad altre “forze volenterose” “un appoggio limpido e trasparente, che si basi su un solido progetto politico”. Che poi l’ottenga è tutto da vedere.

Certo che l’impegno posto dai grandi media sia televisivi che cartacei nel tentativo di bloccare un orientamento favorevole a Conte, testimoniato dai sondaggi, è stato fino ad oggi quasi commovente. E ora che, loro malgrado, si comincia a dare per scontata la fiducia al governo oggi e domani alle Camere, si ripiega sulle preoccupazioni per il futuro. “Da mercoledì sarà il Vietnam… ad ogni passo rischieremo di cadere”. Il pronostico è attribuito ad “uno dei più esperti senatori pd” (Giovanna Vitale, Repubblica). Luigi Zanda? probabile. Ricordate le accuse ai “professori”? A “gufare” sull’attuale governo sono proprio gli stessi che un tempo abusavano dello stesso termine contro gli oppositori di Matteo Renzi.

Con quale prospettiva? Naturalmente quella dichiarata da quest’ultimoIntervistato ieri da M.T. Meli, sul Corriere della Sera, il senatore toscano risponde: “Vogliamo una coalizione con un ruolo fondamentale per il Pd e per i suoi esponenti. I dem lo sanno: senza di noi non ci sono i numeri”. Lo stesso intento indicato ancora ieri nell’editoriale domenicale del direttore di Repubblica, Maurizio Molinari: “cogliere l’opportunità della crisi per rafforzare la componente europeista della maggioranza, liberandosi di quanto ancora resta del populismo del 2018”, ovverosia dei Cinque Stelle.

A correggere il tiro sul quotidiano romano sembra puntare stamani l’ex direttore Ezio Mauro. “Comunque finisca la vicenda del governo – scrive – si può dire fin d’ora che la crisi è anacronistica, perché comunque la si guardi è in contraddizione con il tempo che il Paese sta vivendo. ..assediati da tre emergenze, sanitaria, sociale ed economica”. Ancora più esplicito nel seguito, fino ad affermare che “sul piano politico, si logora lo spazio riformista oggi possibile in Italia (non ce n’è un altro), spezzando la faticosa e acrobatica alleanza tra il Pd e i Cinque Stelle, nata per arginare la pulsione neo-autoritaria della destra, a cui si rischia di consegnare invece il Paese”.

Era quello che i vecchi lettori di Repubblica come me avrebbero voluto leggere fin dall’inizio. Ma è solo un editoriale di passaggio. La linea del giornale è cambiata da tempo e oggi a darla è Maurizio Molinari, fedelissimo di Elkann che lo ha portato qui dalla Stampa di Torino, dove lo ha sostituito Massimo Giannini.

Chi crede o finge di credere che quella del leader di Italia viva sia solo una guerricciola privata con Conte dimentica che sulla furbizia e la parlantina del rignanese hanno puntato da tempo quelli che un grande liberale di sinistra, Ernesto Rossi, chiamava “i padroni del vapore”. Tra questi, la Confindustria, Elkann e Cairo. E ora che il preferito è ridotto al due per cento di consensi non sono ancora riusciti a trovare di meglio. State sicuri che se Conte mollasse i 5stelle come ha fatto con Salvini, lorsignori – magari turandosi il naso – prenderebbero sotto la loro protezione anche Giuseppe Conte. “ il nodo…non è neanche il nome del presidente del consiglio” osservava ieri tra l’altro Molinari.

Annunziata e Mieli deludono con Renzi

***di Massimo Marnetto, 18 gennaio 2021 – Nella trasmissione “Mezz’ora in più” con Renzi, Lucia Annunziata e Paolo Mieli mi hanno deluso, perché non hanno incalzato l’ospite con domande stringenti. La Annunziata, di solito aggressiva oltre il necessario, in questa puntata ha sentito il bisogno di farsi spalleggiare da Mieli. Un segno di soggezione nei confronti dell’intervistato. Inoltre, gli ha posto domande vaghe: una pacchia per lo scaltro Renzi, che così ha spaziato nelle praterie della retorica.

Per esempio, non ci si può impuntare sulla richiesta al  senatore di Italia Viva di dire se sta dentro o fuori la maggioranza come ha fatto l’Annunziata, perché il toscano ci sguazza alla grande. Infilando nella risposta di tutto: dalla votazione generosa dei provvedimenti che servono agli italiani, fino all’autoconferimento del titolo di patriota. Mieli non può buttarla sul dissenso generale generato del ritiro delle ministre per far riconoscere l’errore a Renzi, perché l’ex premier gli sguscia via proclamandosi indifferente ai giudizi e fedele solo al suo amore per l’Italia.

Invece, nessuno gli ha chiesto perché si preoccupa così tanto dei 40 miliardi del Mes, mentre la crisi che ha provocato mette a repentaglio i quasi 300 miliardi del Recovery Fund più altri prestiti, che Conte ha faticosamente negoziato in Europa, ottenendo anche un prezioso gruzzolo di credibilità. Il risultato è stato una puntata dove ho sofferto, parlando col televisore per suggerire domande ai giornalisti. Non come Moretti, che chiede a D’Alema di dire qualcosa di sinistra, ma quasi.


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