‘Tu es libre’, una riflessione sul senso di libertà

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Milano – Scrivere una recensione proprio oggi che uno dei soliti miopi decreti chiude cinema e teatri, sembra quasi una forma di masochismo, un infierire involontario in una situazione fuori controllo e paradossale. Eppure Tu es libre malgrado tratti un argomento lontanissimo dall’epidemia, fatto che ha totalmente oscurato qualunque altro problema − non di certo eliminato −, si riferisce al concetto di libertà individuale, e lo affronta con lucidità e senza pregiudizi. Ché in fondo la morale non è altro se non l’applicazione di una regola che fa comodo a chi deve comandare.

Una famiglia francese benestante, borghese, si deve confrontare con un fatto inaspettato: la figlia Haner interpretata da Maria Caggianelli Villani, decide dapprima di portare il velo quindi di partire per la Siria per combattere, per l’Islam, come foreign fighter.  Gli attori – rispettando a loro volta il distanziamento sociale imposto dall’attuale situazione sanitaria – si muovono sul palco diffuso del Piccolo Teatro Studio Melato, interrogandosi tra repentini flashback e riflessioni personali sulle motivazioni nascoste che hanno spinto Haner a fare la sua scelta. I personaggi, il padre, l’amica, il fidanzato, tra i quali è figura centrale quella interpretata da una meravigliosa Viola Graziosi, capace prima di vestire il ruolo di madre disperata e infine di diventare se stessa, con le proprie debolezze, le proprie inquietudini, il proprio pianto trattenuto, rispondono a domande non poste che come in un interrogatorio cercano le colpe, gli esiti di una scelta incomprensibile.

Non è certo un caso che il padre di Haner e Haner siano appassionati dell’epica di Omero, dell’Iliade, il suo nome stesso è una trascrizione di Andromaca – colei che combatte gli uomini – moglie di Ettore, morto in battaglia contro gli Achei. La guerra è per noi, nella nostra civiltà attuale, un’aberrazione impossibile da accettare, eppure non era tale per i Greci che attraverso di essa giustificavano una serie di valori, che il rimanere sul filo del rasoio, tra la vita e la morte, amplificavano fino a dar loro un senso ben più ampio, fino a superare, in peso, le leggi della sopravvivenza. La guerra fa parte, spiega Haner, degli uomini e scegliere di accettarla ha la stessa dignità di scegliere invece la pace. Così, malgrado appaia difficile da accogliere una tale posizione, decide di andarsene, senza dare spiegazioni.

Il dramma personale di chi si trova a specchiarsi con questa scelta è rappresentato da una sequenza di interventi che ora tendono a giustificare la propria assenza durante la decisione di Haner, ora a chiamarsi fuori da ogni colpa in merito all’accaduto. Il legante di questo racconto è la voce narrante di Francesca Garolla, l’autrice del testo, segnalato dalla Comédie Française e finalista del Premio Riccione per il teatro, che interpreta se stessa, l’autrice, in una serie di rimandi all’idea stessa di realtà e finzione scenica.

Viola Graziosi, come detto in precedenza personaggio, qui, chiave, si era già di recente confrontata con il concetto, ora sempre più sfuggente, di libertà, nell’interpretazione, coinvolgente e drammatica, di Difred, l’ancella protagonista del romanzo di Margaret Atwood e del testo teatrale tratto da The Handmaid’s Tale. L’attrice in Tu es Libre percorre ora un viaggio nelle pieghe dell’inconscio collettivo di una umanità che non riconosce più, se non attraverso luoghi comuni, il ruolo totalizzante di madre. E in una delle scene più tragiche dello spettacolo, la descrizione dell’uccisione a sangue freddo di una donna incinta, che viene colpita da un proiettile al ventre nell’indifferenza generale si concretizza come espressione estrema e apice del male, il nulla che avanza ma insieme un bagliore di speranza. Se basta uccidere una donna inerme per diventare un guerriero, un eroe, forse l’atto di partorire si trasforma in una reazione, laica e non moralizzante, dell’umanità contro la disumanità, ponendo come unico baluardo al deflagrare del cinismo e del disprezzo per l’altro, il genere femminile che è vittima ma anche unica speranza.

La disillusione deriva dal fatto che, colpiti, ci s’aspetta che l’altro faccia esattamente quello che noi faremmo. Come se tutti dessero solo quello che noi immaginiamo si possa e debba dare. Accettare gli altri come creature diverse da quelle della nostra immaginazione, sapendo che noi stessi siamo diversi da come ci stimiamo, è all’origine della libertà. E come sottolinea Simone Weil, cristiana che nell’etica del perdono crede fermamente, una tale accettazione incondizionata dell’altro fa riflettere e se estrapolata dalla morale religiosa conduce a dover considerare la possibilità dell’opposto: che si debba accettare il non perdono e la non accettazione con la stessa rassegnazione che era per lei la grazia nel perdono.


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