Sinistra inesistente perché senza identità

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La sinistra senza identità paga pegno. Un pegno pesantissimo. Zingaretti vuole il Mes (Meccanismo di stabilità europeo) ma Conte rinvia la decisione perché il M5S è contrario. Il segretario del Pd vuole una riforma fiscale per abbassare le tasse ma il presidente del Consiglio vara i bonus fiscali perché i cinquestelle parlano tante lingue diverse. Zingaretti annuncia «un nuovo modello di sviluppo» per ricostruire l’Italia devastata dal Coronavirus ma nell’esecutivo cinquestelle-democratici si intravede solo un nuovo modello molto zoppicante di Stato assistenziale (gran parte dei cassaintegrati in deroga ancora devono vedere un euro delle somme spettanti da marzo).

Tanti errori a catena. Paolo Mieli spiega sbagli e sbandamenti perché la sinistra italiana è «insicura e incerta sulla propria identità». L’ex direttore del Corriere della Sera lamenta la mancanza di audacia sia dei democratici sia dei pentastellati e prova anche a suggerire delle soluzioni. Consiglia dei compromessi. Spinge Zingaretti ad allearsi con i grillini nelle elezioni regionali di settembre perché altrimenti il centro-destra rischia di sbancare nelle sfide in Veneto, Liguria, Toscana, Marche, Campania, Puglia, Valle d’Aosta. Mieli sponsorizza la proposta dello storico Marco Revelli: alleanza alle regionali con i riluttanti grillini e, come compenso, sostegno alle loro sindache traballanti, Virginia Raggi a Roma e Chiara Appendino a Torino.

Già, ma che c’entra l’ennesimo compromesso con i grillini in picchiata, ancora senza un capo politico dopo le dimissioni di Di Maio? Un compromesso si può realizzare ma se c’è una forte identità politica e nel Pd manca, non è solo «insicura e incerta».

Gli sbagli si pagano. Il Pd, il più forte partito del centro-sinistra, è ridotto ai minimi termini: nelle elezioni politiche del 2018 prese appena il 18% dei voti, nelle europee del 2019 il 22% e adesso nei sondaggi oscilla attorno al 20%. Ha perso le sue tradizionali radici tra gli operai, i precari e gli intellettuali: i suoi voti sono finiti al M5S e non li recupera nemmeno adesso con l’implosione del Movimento fondato da Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio.

Il riformismo socialista è scomparso con gravissime conseguenze. Il Pd non ha una chiara identità riformista da contrapporre al populismo grillino. Non ha una identità socialista basata su fondamentali principi: uguaglianza, libertà, diritti, coniugati alla necessità di modernizzazione dello Stato e dell’economia. Quando Occhetto nel 1991 realizzò la metamorfosi dal Pci al Pds, nacque un partito con una identità politica confusa perché l’obiettivo era di andare «oltre». D’Alema predicava la socialdemocrazia ma il Pds e i Ds restarono sempre nel limbo di andare «oltre». Erano un partito un po’ socialista, un po’ liberaldemocratico, un po’ comunista, in gran parte semplicemente postcomunista.

Veltroni nel 2007 fondò il Pd «a vocazione maggioritaria», nelle elezioni politiche del 2008 ottenne un lusinghiero 33% dei voti ma su una identità politica liberaldemocratica, lontana dalla sinistra, che non resse agli urti successivi. Matteo Renzi incassò un clamoroso successo nelle elezioni europee del 2014 con oltre il 40% dei voti, ma pure la sua piattaforma liberaldemocratica franò.

Adesso il Pd di Zingaretti, come quello di Bersani, raccoglie pochi voti solo tra la borghesia benestante dei centri storici e ha perso il tradizionale elettorato operaio e proletario delle periferie.

Ma quasi tutta la sinistra è senza identità politica. Leu (l’alleanza Speranza-Bersani-Fratoianni-Fassina) veleggia appena attorno al 2-3%. Poi ci sono i partiti di sinistra con una forte identità ma le cose non vanno meglio. Il Psi è soltanto l’ombra del suo glorioso passato: il nuovo segretario Enzo Maraio è praticamente sconosciuto, ha solo due parlamentari ed è all’opposizione. Rifondazione Comunista e il Partito Comunista hanno una identità ante crollo Muro di Berlino: sono due micro partiti. L’identità politica è importante, ma serve a poco se mancano un leader e un programma credibili per affrontare i gravi problemi di una società del XXI secolo.


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