Claudio Ferretti, un signore del giornalismo sportivo e non solo

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In 35 anni di RAI non ho mai incontrato un conduttore di TG più disincantato e disinteressato alla popolarità di Claudio Ferretti. Non si riguardava mai, nemmeno se lo beccavano su Blob, passava veloce alla riunione notturna di sommario, qualche volta rifilava dei simpatici cazziatoni sempre rigorosamente motivati, e tornava velocemente ai punti cardine della sua vita, Giulia sua moglie, e i tre adorati figli Susanna, Paolo e Silvia, negli anni affiancati da tre nipoti maschi, Mattia, Andrea e Lorenzo, che gli sapevano dare filo da torcere. Claudio ha fatto cose meravigliose nella sua carriera giornalistica, eppure fra colleghi, fra quelli che gli hanno voluto bene, pensavamo che con meno disincanto e un po’ più di fatica avrebbe fatto cose ancora più gagliarde. Era pigro Claudio, selettivo, voleva seguire quello che gli piaceva ma aveva una cultura enciclopedica, non c’era argomento sul quale non valesse la pensa di confrontarsi con lui.

Certo, lo sport lo aveva nel sangue. Ho cercato invano con lui nelle teche radiofoniche di Via Asiago quel brandello di radiocronaca di suo padre Mario rimasta come citazione famosa, “c’è un uomo solo al comando la sua maglia e bianco celeste il suo nome è Fausto Coppi”, ma non c’era davvero. Claudio ha certamente sofferto il mito e la sregolatezza di vita di suo padre ma si è staccato da quel modello e lo si capì presto, nel 1968, quado fu tra i primi nel più famoso concorso per radiotelecronisti assunti alla Rai e scelse dove lo portava il cuore, cioè alla radio. Sarebbe presto diventato uno del quartetto magico di “Tutto il cacio minuto per minuto”, la compagnia indimenticabile in macchina, sulla spalla, posata su un prato di quella radio a transistor domenicale dove ti divertivi con Ciotti, capivi qualcosa con Ameri, seguivi il calendario con Bortoluzzi, ma capivi tutto dalla voce chiara, forte, accattivante di Claudio Ferretti.

Claudio, un grande tifoso di calcio di cui nessuno capiva le preferenze fino al giorno, molti anni dopo, in cui confessò la passione per la Lazio. L’unica cosa sulla quale non andavamo d’accordo nella nostra incredibile amicizia. Una amicizia basata su una visione del tutto simile delle professione giornalistica in Rai e su una assoluta identità di vedute nel giudizio sui programmi sia televisivi che radiofonici, sui protagonisti, sulle scelte autorali. Sotto un ombrellone di Fregene decidemmo in tre, c’era anche Umberto Broccoli, di scrivere un libro diverso sulla Rai, un libro di storie e persone più che di storia e così lo scrivemmo, senza mai uno screzio, una discussione, dividendoci periodi e anni, come se avessimo una macchina rodata da sempre. Il testo piacque alla Le Monnier che volle addirittura pubblicalo nella collana dei quaderni di storia diretta da Spadolini. Il tutto ci piacque assai! Nel frattempo le nostre carriere si sviluppavano su strade diverse, Claudio capo dello sport al TG3, io ad inventare le Teche della Rai, fissi restavano i fine settimana a Fregene sotto gli ombrelloni del Riviera dove nacquero “la vita è tutta un quiz” per gli 80 anni di Mike Bongiorno, “1960 le olimpiadi della TV” ma soprattutto il nostro lavoro monumentale “RicordeRai”, per i 50 anni della TV nel 2004, poi aggiornato per i 60 nel 2014 e perfino attualizzato al 2017 per usi universitari. Intanto avanzava il digitale e Claudio scriveva a penna, ma nella sua “L’una italiana” sperimentammo per la prima volta una chat a caratteri con il pubblico qualche anno prima di Facebook, incredibile ma vero!
Il 2004 è stato speciale e perfino Claudio, schivo come sempre, disilluso da tutto, polemico su tutto, si lanciò nella grande campagna di presentazione in tutte le sedi Rai del volume simbolo del cinquantenario, che scrivemmo assolutamente da autori liberi, senza una minima pressione, salvo qualche telefonata che poi arrivò a me di qualche soubrette o presentatore rampante che scalpitava. Claudio era un uomo totalmente libero, professionale, democratico, che si sentiva al servizio del pubblico, fosse di lettori o di ascoltatori o di spettatori. Forse per questo nel dover fare il capo di una redazione non si sentiva a suo agio, riunioni, beghe da districare, inevitabili compromessi. Non era il suo genere. Quando andò in pensione era felice. Eppure aveva la Rai nelle vene e l’amava davvero. Quando facemmo l’ultimo aggiornamento di “RicordeRai” pochi anni fa lui mi confessò che stava mettendo da parte appunti sui programmi che si susseguivano e lo voleva fare fino al 2024, perchè poi saranno 70 di TV e 100 di radio! Non te ne dovevi proprio andare Claudio! Ma ora davanti a te hai finalmente quei tuoi amati famosi anni azzurri!


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