Rodari e Sartre: fantasia ed esistenzialismo uniti nella lotta

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Quarant’anni fa ci dicevano addio due giganti: Gianni Rodari e Jean-Paul Sartre, rispettivamente teorico della fantasia e punto di riferimento dell’esistenzialismo. Due figure assai diverse eppure accomunate dallo stesso desiderio di battersi per una società migliore. Due nemici giurati delle convenzioni, dell’ordine costituito, delle verità ufficiali, della negazione di qualsivoglia forma di libertà e della deriva cui già allora stava andando incontro il mondo. Diciamo anche, e non appaia eccessivo, due anticipatori del motto sessantottino “la fantasia al potere”, declinato da Rodari nella sua smisurata arte di narrare storie e da Sartre nella sua capacità di conferire un senso anche ad aspetti della nostra vita quotidiana e del nostro quotidiano interrogarci che apparentemente non ne avevano.

Entrambi non accettavano le guerre, le violenze, le cause scatenanti della barbarie, i proclami retorici e gli eccessi. Non accettavano lo strapotere dei soliti noti, i governanti che non forniscono mai spiegazioni, i sistemi di coercizione basati sull’inganno e sulla ferocia e la repressione selvaggia e disumana nei confronti di chiunque si azzardasse a uscire dai rigidi schemi prestabiliti.
Sartre, tanto per citare un esempio, fu il capofila di un appello contro la repressione in Italia, nel cuore degli Anni di Piombo, denunciando, insieme a Deleuze a altri, il processo di “germanizzazione” che, a suo dire, stava sconvolgendo il nostro Paese. Ciò che non accettava Sartre era l’attacco concentrico, da destra e da sinistra, nei confronti di chiunque osasse opporsi allo spirito del tempo, alla visione comune delle cose, alla demonizzazione della sinistra extraparlamentare e all’analisi superficiale di fenomeni in realtà complicatissimi e ricchi di punti oscuri, di cui solo ora, a distanza di quasi mezzo secolo, cominciamo a comprendere l’articolazione.
Rodari, dal canto suo, ha rivoluzionato il modo di concepire la scuola, l’insegnamento, il rapporto con i bambini, il modo di trasmettere il sapere e l’approccio alle giovani menti in formazione. Credeva, infatti, che non ci fosse nulla di peggio dell’ammaestramento, della conoscenza basata sull’obbligo, del sostanziale addestramento di un universo che, in realtà, dev’essere plasmato, coinvolto, condotto per mano alla scoperta del mondo. Sosteneva, ad esempio, che si dovesse sostituire il celebre adagio “Sbagliando s’impara” con “Sbagliando s’inventa” perché anche l’errore, nel processo di formazione di una persona, ha eccome la sua importanza.

Rodari sapeva entrare nella mente e, soprattutto, nel cuore di quelle creature, sapeva abbracciarle idealmente, sapeva insegnare col sorriso e comunicare una gioia che chi ha avuto l’onore di averlo come maestro si è portato dietro per tutta la vita.
Rodari e Sartre sono stati accomunati da esistenze non eccessivamente lunghe, cinquantanove anni il primo, settantaquattro il secondo, ma davvero intense, ricchissime di idee, valori, proposte, letture. Hanno esplorato mondi fino a quel momento ignorati o quasi dall’intellighenzia, innovato il modo di raccontare la società, riflettuto sull’uomo, sul suo destino e sul suo rapporto con il prossimo. Hanno scavato a fondo nei nostri drammi e nelle nostre miserie. In poche parole, hanno vissuto e se ne sono andati via troppo presto, non senza aver lasciato tracce indelebili su un pianeta cui oggi mancano come l’aria.
Quarant’anni senza di loro, quarant’anni di domande che non hanno avuto risposta.

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