Nuova Zelanda, quei media che preferiscono rimanere in un’area grigia

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Per il governo neozelandese a Christchurch ha avuto luogo un atto terroristico. Lo si è appreso intorno alle nove di venerdì mattina. E così la parola “terrorismo” è stata finalmente utilizzata per definire quel che è stato perpetrato in quella città neozelandese. E in effetti cosa si sarebbe detto se un qualcuno avesse fatto strage di fedeli in una Chiesa neozelandese (o in un altro paese)?
Ma le parole del governo neozelandese, condivise dal capo della nostra diplomazia che nel suo messaggio ha parlato di terrorismo, non hanno convinto né il nostro ministro dell’Interno né alcuni giornali e telegiornali, che non hanno usato il termine terrorismo in relazione a quanto accaduto a Christchurch.

Occupiamoci un attimo del nome del luogo prescelto dai terroristi. Vuol dire “Chiesa di Cristo”. L’avranno scelto per caso? O non si scorge un piano malvagio e esecrabile? Non c’era forse un nome riconducibile alla famosa battaglia di Lepanto sul calcio del fucile del terrorista? Dunque si incide un nome “identitarista”, che usa la battaglia di Lepanto per spiegare la scelta odierna di uccidere inermi musulmani, lo si va a fare in una città che guarda caso si chiama “Chiesa di Cristo” e noi cosa diciamo? “Strage”? “attacco”? Ma il problema è se diciamo quel che diciamo con imbarazzo. Un imbarazzo che deriva da una scelta: l’impossibilità di dire “siamo tutti musulmani”! E perché ci è impossibile? Perché l’ideologia dello scontro di civiltà ci ha pervaso. Ci impedisce di riconoscere che è questa l’ideologia che unisce l’Isis e gli autori della strage di Christchurch. Lo scontro di civiltà di chi condanna l’Occidente, lo scontro di civiltà di chi condanna l’Islam. Lo scontro di civiltà è un’ideologia che però ha finalmente una risposta culturale, filosofica, politica, religiosa: siamo tutti fratelli! Non esiste un ipotetico “noi e loro”, esistiamo “tu e io”.

Questa è la grande attualità della Dichiarazione firmata da Papa Francesco e dall’Imam al Tayyeb poco più di un mese fa. O si crede nello scontro di civiltà che ci condanna a morire insieme come dei deficienti o si crede nella fratellanza umana che ci consente di vivere insieme.

Per decenni la teoria, o l’ideologia, dello scontro di civiltà non ha avuto una risposta all’altezza. Oggi non è più così. Oggi possiamo dire “io non credo nello scontro di civiltà perché credo nella dichiarazione di fratellanza” firmata dal vescovo di Roma e dall’imam dell’università islamica di al-Azhar.

E’ ovvio che molti preferiscano rimanere in un’area grigia. Bergoglio e Tayyeb si confermano due grandi àncore per il mondo che vuole salvarsi da questa deriva di odio. Ma che area è l’ovvia area grigia? Un tempo l’avremmo chiamata l’area di coloro che chiamano i terroristi “compagni che sbagliano”. Compagni che sbagliano nell’assassinare da una parte, compagni che sbagliano nell’assassinare dall’altra. Ma sempre “compagni” sono. Il mio compagno invece è Khaled Mustafa, il siriano che era fuggito in Nuova Zelanda, per sottrarre la sua famiglia alla carneficina: è morto nella mosche di Christchurch. Mio compagno è anche il guardiano della moschea, morto dopo aver detto “benvenuto fratello” al suo assassino. A pensarci bene più che miei compagni sono miei fratelli, come dice la Dichiarazione di Bergoglio e al Tayyeb, atto fondante una nuova cultura globale.


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