Viaggio in Niger, “il paese dove i migranti arrivano per restare”

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Arrivano da tutti i paesi vicini ma solo una piccola parte continua il viaggio verso nord. Per questi, gli accordi per fermare i trafficanti hanno spostato le rotte e alzato i prezzi. Il racconto di Laila Simoncelli dell’Associazione Papa Giovanni XXIII, rientrata da poco: “Paese in povertà estrema: serve la cooperazione, quella vera”

RIMINI – “Il Niger è un crocevia di popoli. Un Paese cruciale che si fa carico di chi scappa dalla guerra. Ma è anche un Paese estremamente povero che avrebbe bisogno della cooperazione, quella vera non quella delle multinazionali”. A parlare è Laila Simoncelli, avvocato e volontaria dell’Associazione Papa Giovanni XXIII di Rimini con una lunga esperienza in Africa che è appena rientrata, insieme a Gennaro Giudetti, da un viaggio di una decina di giorni nel Paese, tappa chiave nei viaggi dei migranti verso l’Europa. Non è un caso che nel 2017 Frontex, l’agenzia europea della guardia di frontiera e costiera abbia aperto una sede proprio a Niamey, capitale del Paese. Stato dell’Africa occidentale senza sbocchi al mare, il Niger confina con Libia, Algeria, Ciad, Nigeria, Benin, Burkina Faso e Mali, “qui arrivano persone da tutti i Paesi, ma non tutti vogliono arrivare in Europa, la maggior parte resta”, spiega Simoncelli.

Oggi però i passaggi verso la Libia e l’Europa sono più lenti, il motivo? “Nel 2015 il Niger ha varato una legge contro i trafficanti e ci sono pattugliamenti continui lungo le frontiere – spiega Simoncelli – L’effetto però è stato quello di rallentare le partenze, spostandole su altre rotte, più pericolose, e aumentare il costo del passeur: da 200 a oltre 700 euro”. Anche se, come dice Simoncelli, “sono una goccia nel mare rispetto a chi rimane in Niger”, le persone che vogliono partire ci sono. “Noi ne abbiamo incontrate alcune, una ventina di ragazzi giovanissimi che, da un paio di mesi, aspettano – racconta – Abbiamo provato a dissuaderli in tutti i modi, persino mostrando loro le foto dei naufragi nel Mediterraneo – aggiunge – Ma loro sono determinati, hanno tutti storie drammatiche alle spalle e dicono che vale la pena, anche se il rischio è di morire in mare”.

Il viaggio che ha portato Simoncelli e Giudetti in Niger era esplorativo. “Per me e per gli altri fratelli dell’associazione, il Niger è un Paese già visto e conosciuto attraverso i ragazzi richiedenti asilo accolti nelle nostre case, attraverso i racconti delle ragazze nigeriane che proteggiamo dalla tratta, attraverso i loro occhi – racconta Simoncelli – Volevamo ripercorrere le strade di cui ci hanno parlato. Ma anche capire se ci sono le condizioni per una presenza nel Paese con i Corpi civili di pace o con l’associazione, portare un messaggio di solidarietà e creare vincoli di amicizia. L’accoglienza del popolo nigerino, dei migranti e della Chiesa è stata generosissima”. Ma i volontari sono stati testimoni di situazioni estremamente drammatiche. Come quella degli sfollati interni nigerini “scappati dalle zone al confine con la Nigeria a causa delle incursioni di Boko Haram”, o le ragazzine fuggite dalla Nigeria, “poco più che bambine, intrappolate nella prostituzione dei bar nigerini, loro unica pospettiva di vita”, ma anche i bambini di strada e quelli costretti a vivere in carcere insieme alle madri.

Il Paese è ricco di risorse naturali, come l’uranio, ma è estremamente povero. “Estrazione ed export dell’uranio sono in mano francese e danno luce a mezza Europa attraverso le centrali termonucleari della Francia – spiega Simoncelli – Peccato che in Niger, invece, l’elettricità manchi e dove c’è salta anche 8/10 volte al giorno”. E conclude: “Il nuovo governo sta facendo molto ma non è riuscito a incidere in maniera forte su questa situazione. Ecco perché servono investimenti che abbiano ricadute sull’economia del Paese e interventi umanitari che puntino a eradicare la povertà, a portare i bambini a scuola, a diminuire l’analfabetismo che oggi arriva al 98%”. (lp)

Da redattoresociale


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