Baghdad: l’inizio della fine 

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È stata, per la mia generazione, ciò che il Vietnam fu per i nostri genitori: una guerra sporca, basata su prove più che discutibili, su infinite menzogne, su un desiderio di vendetta e su uno spirito coloniale e imperialista che ha gettato nella disperazione l’Iraq e destabilizzato l’intera regione mediorientale, fino all’avvento dell’ISIS e alle conseguenze che esso ha comportato. La guerra in Iraq, scoppiata nella notte fra il 19 e il 20 marzo 2003, con l’annuncio di Bush in diretta televisiva e il suo auto-proclamarsi un “war president”, altro non fu, infatti, che il seguito della guerra in Afghanistan, nell’ambito dell’operazione “enduring freedom”, cominciata il 7 ottobre 2001, meno di un mese dopo l’attacco alle Torri Gemelle e al Pentagono del tristemente celebre 11 settembre.

Baghdad, tuttavia, assai più di Kabul, costituì l’inizio della fine: di una presidenza, malgrado la rielezione dell’anno successivo, di un mondo, di una concezione della politica e della società e del nostro futuro, dato che, da quel momento in poi, il terrorismo è entrato in pianta stabile nelle nostre vite e nel nostro immaginario, com le mattanza delle stazioni di Madrid, dei mezzi pubblici di Londra, delle redazioni e dei locali di Parigi, delle vie di Nizza e di Berlino e poi gli allarmi, le tensioni, il clima di follia e psicosi collettiva che negli ultimi quindici anni non ci ha mai abbandonato.
20 marzo 2003, una data tragica. E a me tornano in mente gli appelli in favore della pace di uno stanco papa Wojtyla, i vani tentativi di mediazione del cardinale Etchegaray, la speranza che l’orrore potesse essere fermato e la certezza che Bush volesse dichiarare guerra ad ogni costo, con Blair e l’allora presidente spagnolo Aznar al seguito e un Occidente, Italia compresa, che, con l’eccezione di Francia e Germania, si condannò a vivere in un contesto di quotidiano orrore e d’incertezza.
20 marzo 2003, e la memoria di quei giorni che si riaffaccia prepotentemente, con il suo carico di sgomento, indignazione, paura e incredulità per ciò che era stato fino a quel momento e per ciò che sarebbe potuto essere dopo, nella convinzione che, per quanto Saddam Hussein fosse un tiranno sanguinario, in seguito al suo abbattimento la situazione non sarebbe certo migliorata, come purtroppo abbiamo potuto constatare sin da subito e come stiamo vedendo in questi anni maledetti, costellati di crimini terroristici, attentati sanguinari e vere e proprie stragi che stanno devastando sia il mondo arabo sia, di riflesso, le nostre comunità.

20 marzo 2003, quindici anni fa: Baghdad in fiamme, le bandiere della pace esposte alle finestre, una parte della sinistra che invocava pietà in un mondo che virava fortemente a destra e la peggior destra di sempre che accusava chiunque si opponesse a quest’ennesima “inutile strage” di essere un fiancheggiatore di al Qaeda o giù di lì.
20 marzo 2003 e il formarsi della mia coscienza democratica e pacifista, mentre tutto sembrava precipitare, la statua di Saddam veniva buttata giù e con il raìs capitolava un Iraq ridotto all’anno zero, condannato a subire sulla propria pelle una stagione di orrore che, purtroppo, non si è ancora conclusa.
20 marzo 2003, ore 3,55 italiane: si materializzò davanti ai nostri occhi l’abisso e ci accorgemmo con dolore che non esisteva più un fronte unico della sinistra, articolato a livello globale, in grado di opporsi con una sola voce a una tragedia che avrebbe segnato una generazione e i destini del pianeta e che tuttora ci obbliga a fare i conti con un inferno di violenza e disumanità dal quale nessuno può considerarsi escluso.
20 marzo 2003: i distinguo, i pigolii, le voci che divenivano progressivamente sempre più flebili e la confusione fra il rispetto per un alleato indispensabile come gli Stati Uniti e l’asservimento all’America guerrafondaia di Bush.
20 marzo 2003: sotto le macerie di Baghdad ci siamo rimasti anche noi, sconfitti da un’ideologia di morte e sopraffazione dalla quale sarà difficile, se non quasi impossibile, affrancarsi.

20 marzo 2003: l’esaurirsi di un regime e l’inizio di un’epoca piena di bugie che la storia si è prontamente incaricata di dimostrare tali. Perché ribadisco: Saddam era un personaggio alquanto controverso ma lo scenario che si è delineato dopo di lui non è stato certo migliore.
Ci restano solo i rimpianti, dunque, la nostalgia per le ultime piazze veramente piene e per le ultime battaglie di popolo, per quelle bandiere arcobaleno ormai sbiadite e per quel vessillo chiamato di dignità che purtroppo abbiamo riposto da anni, forse per sempre.
20 marzo 2003, quindici anni fa: una giovinezza perduta e innumerevoli speranze svanite nel nulla. Verrebbe voglia di ricordarci come eravamo prima ma non so se sia il caso di continuare a farci del male.

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