Amazzonia, si decide senza il consenso dei popoli indigeni

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[Traduzione a cura di Anna Corsanello, dall’articolo originale di Adrian Gonzalez pubblicato su The Conversation]

Il governo del Perù ha chiari programmi di sviluppo per le regioni delle foreste pluviali dell’Amazzonia. L’estrazione di petrolio sta già avvenendo su ampia scala e quest’ultima sarà sostenuta da importanti investimenti in nuovi gasdotti, in proposte di dighe per la produzione di energia idroelettrica e altri vasti piani per i trasporti.

Ma cosa se ne fanno di tutto ciò le popolazioni che vivono nella regione? Nella mia ricerca, ho dimostrato che i piani di sviluppo peruviani stanno deliberatamente limitando il potere di consenso delle comunità locali rispetto a questi progetti.

Ciò non accade per caso. La maggior parte delle popolazioni che vivono nelle regioni dell’Amazzonia peruviana sono indigene, un gruppo di popolazioni rimaste escluse e discriminate. Secondo un ex presidente, le popolazioni indigene sono un ostacolo al progresso, “comunità artificiali che possiedono 200.000 ettari sulla carta, ma ne coltivano solo 10.000 ettari, mentre il resto è proprietà inutilizzata“.

I Peruviani sono liberi…sulla carta

Il Perù è una democrazia giovane, le cui elezioni si sono svolte correttamente solo dal 2001. La sua Costituzione stabilisce importanti diritti per i cittadini, compresa “la libertà di informazione, di opinione, di espressione” e il diritto a una “propria voce e immagine”. Il Perù è inoltre membro di vari importanti organismi regionali per i diritti umani e ha firmato importanti trattati internazionali come la Convenzione internazionale sui diritti civili e politici. Insieme, questi accordi sanciscono ulteriormente i diritti del cittadino e gli obblighi dello Stato. Sulla carta perlomeno, i peruviani vivono in un ambiente politico aperto in cui far sentire le proprie voci.

Tuttavia, la democrazia del Perù non è perfetta e studi internazionali l’hanno definita “viziata” e “difettosa”. Anche se i cittadini hanno dei diritti, la presenza di istituzioni deboli nel Paese significa che quest’ultimo può non riuscire a sostenere o ad applicare tali diritti. Ancora più preoccupante è il fatto che, da uno sguardo più attento alla libertà di parola del Perù in merito ai progetti di sviluppo, si intravede un ambiente politico molto più restrittivo per i cittadini.

Un posto pericoloso per gli attivisti

Varie ricerche mostrano come i governi dell’America Latina hanno regolarmente provato a criminalizzare le proteste sociali, soprattutto se collegate a grandi progetti di sviluppo.

Ciò è evidente in Perù. L’ampia legge contro il terrorismo è stata criticata a causa del modo in cui viene applicata ad atti non terroristici, come le proteste contro i progetti di sviluppo o questioni indigene. Altre leggi si sono aggiunte a questa. Per esempio, un decreto del 2008 ha rimosso l’obbligo per il governo di dichiarare lo stato d’emergenza prima di schierare l’esercito. Allo stesso modo, nel settembre 2010, una nuova legge ha permesso l’utilizzo delle forze armate contro i dimostranti e ha regolato l’uso di forza letale contro “gruppi ostili”…  Continua su vociglobali


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