Giornalismo sotto attacco in Italia

Alessia Truzzolillo denuncia le “consorterie” della ndrangheta e le recapitano due proiettili

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Alessia Truzzolillo è una giovane collega che scrive per il Corriere della Calabria. Si occupa principalmente di cronaca in una zona difficilissima, quella di Lamezia Terme in provincia di Catanzaro. Lì operano le più potenti cosche di ‘ndrangheta calabrese, delle vere e proprie “consorterie”, come le chiama Alessia, una commistione tra criminalità organizzata, massoneria deviata e politica. Argomenti di cui ha sempre scritto per la sua testata, “una redazione speciale e molto unita”, che le fa sentire le spalle forti, ci racconta con orgoglio. Forse per tale motivo, nello scorso weekend, qualcuno ha voluto lanciare nel giardino della sua casa una busta con il suo nome contenente due proiettili.

Alessia come stai?
“Bene – ci dice al telefono –  l’unica cosa che mi ha fatto davvero arrabbiare è la paura che hanno fatto prendere a mia madre. Io tendo a sminuire ciò che è successo, per non dare importanza agli individui che hanno pensato di intimidirmi con questo gesto”.

Ma da cosa è dipeso?
“Noi abbiamo scritto molto sulle indagini che sono state fatte negli ultimi tempi nella provincia di Catanzaro ed in particolare nel lametino, dove vi sono delle vere e proprie consorterie. Ci siamo occupati delle varie operazioni  della Direzione Distrettuale Antimafia di Catanzaro, in particolare l’operazione Crisalide. Ma non so dire da dove o da chi possa essere arrivato un simile atto”.

Ma cosa vuol dire fare il giornalista in Calabria?
“Dipende sempre da come si intende fare questo lavoro. Innanzitutto non accettare la logica delle clientele, bisogna prima di tutto fare un patto con se stessi per onorare al meglio la nostra professione, verificare sempre, scrivere ciò che si conosce e questo vuol dire manifestare la verità dei fatti. Qui la cultura mafiosa si manifesta ignorando i costumi della criminalità organizzata, facendo finta di nulla quando ci sono degli atti simili. Questo substrato culturale crea il clima intimidatorio”.

Allora non c’è speranza?
“No la speranza c’è. Questo clima, anche se lentamente, sta comunque cambiando. Ad esempio vedo sempre più, quando ci sono attentati nei confronti di esercizi commerciali, che la gente poi si reca ad acquistare in quei negozi, oppure a prendere un aperitivo solidale nei bar che hanno subito intimidazioni. E questo ti fa vedere che c’è e potrà esserci sempre più un’ inversione di tendenza”.

E tu, hai ricevuto solidarietà?
“Certo,  da tantissima gente comune, oltre quella istituzionale. Ripeto il clima sta cambiando”.


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