Ponti non muri. Lo sport, un ponte per la Palestina

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Lo sport e l’arte sono mezzi che possono creare legami di amicizia perché parlano ad una parte profonda dell’umanità.  Lo sport è stato lo strumento che molti campioni hanno utilizzato per uscire dalla loro condizione iniziale di povertà ed è con questa premessa che l’Associazione Ponti non muri  ci presenta il suo progetto “Lo sport,Un Ponte per la Palestina”:

“Lo sport ha assunto sempre più importanza nel sistema delle Nazioni Unite, in virtù del contributo che esso può dare al raggiungimento degli obiettivi dell’organizzazione mondiale: riguarda la partecipazione, l’inclusione, la cittadinanza; unisce gli individui e le comunità; dai campi per i rifugiati alle zone di guerra, alle periferie violente delle città, lo sport può migliorare la vita quotidiana delle persone vulnerabili e bisognose. Lo sport ha anche un ruolo sociale: è grande potenziale per contribuire ad una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva. Esso aiuta a contenere l’aumento della spesa sanitaria e la sicurezza sociale migliorando la salute e la produttività della popolazione, garantendo una migliore qualità della vita nella vecchiaia e abbattendo le barriere sociali. Fondamentale è il ruolo dello sport nell’istruzione e formazione. Migliorare la salute attraverso lo sport è determinante nella società moderna. Lo sport è una parte indispensabile di qualsiasi approccio alle politiche pubbliche mirate a migliorare l’attività fisica.”

L’Associazione Ponti non Muri ha come obiettivo quello far conoscere la drammatica situazione che si vive in Palestina, terra sotto occupazione da più di sessant’anni, raccontando quanto realmente succede al popolo palestinese e organizzando manifestazioni culturali, informative e di raccolta fondi per sostenere l’orfanotrofio La Crèche di Betlemme (città che in cui si vive come in un carcere a cielo aperto, circondata da un muro alto fino a 8 metri e lungo 750 chilometri) e sostenendo l’unica squadra mista di atletica leggera della Palestina a Gerico “Shabab Ariha”.

Lo sport in Palestina La Palestina ha un cuore pulsante che, nonostante tutto, resiste e combatte. La povertà nelle periferie delle città più importanti è incredibile: mette quasi i brividi solo il pensiero di dover abitare in ‘lamieropoli’, in luoghi senza acqua corrente e senza elettricità, sfruttando un bestiame rachitico per avere latte e cibo. A tutte queste difficoltà si aggiungono quelle che riguardano: – il movimento delle società sportive palestinesi verso l’esterno ma anche negli stessi Territori Occupati Palestinesi e Gaza e delle squadre estere (in particolar modo provenienti dai paesi arabi) 2 che vogliono entrare in Cisgiordania. Le squadre locali non possono muoversi liberamente all’interno dei loro confini, in Cisgiordania e a Gaza, non possono agire liberamente e sono sottoposte a restrizioni e violazioni da parte delle autorità israeliane (per quanto riguarda il calcio in netta violazione della Circolare FIFA n. 1385). Viene fortemente limitata la libertà di movimento di atleti, allenatori e arbitri (ed è quindi impossibile stilare un calendario di incontri fra squadre locali). Per esempio, nell’aprile 2016, è stato negato a 100 atleti palestinesi (fra cui addirittura un atleta palestinese olimpionico, partecipante alle Olimpiadi di Pechino del 2008) il permesso di recarsi da Gaza a Betlemme per partecipare alla “Maratona di Betlemme per i Diritti Umani”, con la scusa di problemi di “sicurezza”; –

il trasferimento e le donazioni di attrezzatura sportiva dall’estero verso la Palestina è fortemente contrastata e osteggiata dalle autorità israeliane che, con le procedure di occupazione, ritardano notevolmente le consegne (quando non le impediscono totalmente con la scusa dello smarrimento) facendo sostenere costi aggiuntivi e imprevisti e creando barriere che rendono molto difficile lo svolgimento dello sport in Palestina; – la costruzione di nuovi impianti sportivi in Palestina è fortemente ostacolata dalle autorità di occupazione israeliane: difficilmente viene data l’autorizzazione per la costruzione di un impianto sportivo. Non esiste una pista di atletica leggera omologata in tutta la Palestina. I ragazzi delle squadre di atletica si allenano per strada, sullo sterrato o in cortili in cemento o asfalto in cui vengono tracciate le corsie; – le violazioni dei diritti umani che sono all’ordine del giorno nel contesto sportivo palestinese. Vorremmo che lo sport in Palestina tornasse ad essere considerato un mezzo di trasmissione di valori universali e una scuola di vita che aiuti la socializzazione e il rispetto tra compagni e avversari.

(qua in allegato è possibile leggere e scaricare il progetto Ponti non muri per il 2017: Progetto IV stage (1) )

Proprio per queste difficoltà l’associazione Ponti non muri si è posta questi obbiettivi:

  • Sostenere la gioventù palestinese, dandogli speranza in un futuro migliore, futuro che loro stessi possono costruire nonostante le difficoltà di una vita sotto occupazione militare che dura da oltre 70 anni, con privazioni, rischi e sacrifici continui
  • Aiutare questi ragazzi ad uscire dal muro di indifferenza e rassegnazione che li circonda
  • Dare alla gioventù palestinese una speranza di crescita sana e di sostegno reciproco che solo lo sport può dare
  • Consolidare il gemellaggio creato fra la squadra di atleti palestinesi Shabab Ariha e la squadra del CUS Sassari, per scambi culturali e confronto continuo
  • Dare ai giovani sassaresi che entreranno in contatto con gli atleti palestinesi una nuova possibilità di crescita nella scoperta di una nuova cultura
  • Far conoscere ai ragazzi palestinesi i saperi locali, la cultura e le tradizioni della Sardegna
  • Abilità tecniche acquisite e da acquisire, al fine di poterle adattare, trasformare e “trasportare” nella propria terra perché possano usufruirne anche gli atleti più piccoli che si affacciano per la prima volta alla pratica sportiva
  • Allargare l’ambito territoriale delle conoscenze reciproche, che ha avuto come fulcro la città di Sassari, alle altre realtà sarde e della Penisola.

Per aiutare l’Associazione Ponti non muri a realizzare gli obbiettivi prefissati  possiamo fare una donazione di qualsiasi cifra a questo indirizzo: http://www.pontinonmuri.it/donazioni.html
oppure acquistare uno dei loro gadgets tramite questo sito: https://worthwearing.org/store/associazione-ponti-non-muri

Questa associazione l’ho conosciuta tramite il mio amico Giuseppe Del Vecchio, sportivo e attivista per i diritti umani, un uomo bello dal cuore grande. Il suo entusiasmo è quello coinvolgente di chi si butta a capofitto in un’idea che sa di essere giusta. Ho chiesto a lui della sua esperienza con l’Associazione Ponti non muri

Come hai conosciuto l’Associazione Ponti non Muri?
“Ho conosciuto Ponti non Muri su Facebook. C’era un post in cui si cercavano disperatamente fondi per salvare la vita a un ragazzino di un piccolo villaggio della Thailandia affetto da una grave malattia cardiaca. Un post in cui c’era la parola goccia scritta ripetutamente. Io ero impegnatissimo in un progetto in India riguardante la costruzione di una scuola in mezzo a un mare di difficoltà, soprattutto economiche, perché il costo dei materiali aumentava di giorno in giorno. Misi ogni pensiero da parte perché fui colpito da quello “sgocciolare”, presi informazioni e vidi che l’attività principale di Ponti non Muri era in Palestina, all’orfanotrofio di Betlemme. Il caso volle che ero in partenza per la Palestina, un regalo a mia madre alla scoperta della Terra Santa. Li contattai. Fui accolto con una gioia insperata e, naturalmente, mi fu affidato un compito, come se fossi stato da sempre uno di loro.La storia di quel bimbo malato si intrecciò con il mio progetto in India per il dramma della sua morte.
I soldi raccolti per il suo viaggio della speranza furono dirottati per la scuola senza che io lo chiedessi, anzi, lo pensassi. Era quello che mancava per chiudere il progetto. A settembre 2011 la scuola fu inaugurata in uno dei posti più desolati dell’India, il Madhya Pradesh e un aula della materna è intitolata al piccolo Tim.”

Sei venuto a contatto con gli attivisti dell’associazione e con i ragazzi palestinesi, raccontami della tua esperienza sul campo, delle tue emozioni
 “Come dicevo il primo incontro è stato virtuale (messaggi, e-mail) e lo ebbi con Silvia Sanna che contattai per avere informazioni sul piccolo Tim e sull’associazione, successivamente parlai con Lavinia Rosa per organizzare la mia visita all’orfanotrofio di Betlemme. Silvia e Lavinia sono due delle colonne di Ponti non Muri.
Ma il primo incontro in carne e ossa lo ebbi coi bimbi di Betlemme.
Scrissi questo quel giorno “Mi fanno piegare dalle risate i bambini. Quando vedono arrivare un estraneo che sanno che è là per passare qualche momento con loro fanno gli gnorri. Continuano a farsi gli affari loro. Lasciandoti a competere con la loro coda dell’occhio. Poi lentamente arrivano. Dal più audace fino al più timido e ti avvolgono. Guardo i miei figli. Ci mettono un po’ a realizzare… A lasciarsi andare. Ma poi li perdo. Si sono mischiati perfettamente… Formano un unico corpo. Non ci sono più bambini italiani e bambini palestinesi che giocano assieme. Sono una cosa sola.”
Insomma un emozione difficile da raccontare quando sei chiuso dentro un muro vergognoso.
Fu quello il giorno in cui decisi di dedicare tutto alla Palestina. Era luglio del 2010. Dovevo “semplicemente” completare il lavoro in India. Dopo aver passato un anno con un’altra associazione che si occupava di Palestina e dopo essere tornato in quella terra un’altra volta decisi di dedicarmi completamente a Ponti non Muri.
Nel frattempo era stato messo su un altro progetto che mi avrebbe portato a nuovi incontri e nuove emozioni. Il progetto si chiamava e si chiama ancora “lo sport, un Ponte per la Palestina”. Da amatore podistico abbracciare la realtà della squadra giovanile mista di atletica di Gerico fu come chiudere un cerchio di passione. Quest’anno per la IV volta un gruppo di quei ragazzi sarà a Sassari. Conoscerli, vederli crescere come persone e come atleti, correre con loro la maratona di Betlemme del 2016, ospitarli a casa mia quando li ho “rubati” per qualche giorno alla Sardegna, sognare con loro le olimpiadi e una pista vera a Gerico, piangere con loro, dividere ogni cosa come si fa con il tuo migliore amico, girare tra la gente a mostrare, come dice Lavinia, che “hanno 2 occhi 1 bocca 2 orecchie come tutti” e a raccontare la loro esperienza di ragazzi che hanno bisogno di vivere in santa pace, insomma ti fa sentire pieno e vuoto al tempo stesso.
Perché lo sport come progetto per unire le persone e abbattere i muri?
Il progetto sport nasce, anche questo, per caso.
A Sassari ogni anno si svolge una rassegna cinematografica dal titolo Visioni Solidali durante la quale ogni associazione presente nel territorio propone un film in tema con la propria attività.
Nel 2012 Ponti Non Muri presentò Inshallah Bejiin. Il film racconta di tutte le difficoltà che dovranno superare i tre protagonisti prima di arrivare in Cina per partecipare alle olimpiadi di Pechino. La maggiore sta nella loro Nazione, la Palestina, che ancora non esiste e che non ha i mezzi per supportarli. Ponti non Muri ha tra i propri componenti persone che hanno l’atletica nel sangue e hanno fatto atletica e fu un attimo per loro trovare i contatti con uno dei protagonisti del film Mamoon Baloo che oggi allena, appunto, i ragazzi di Gerico.

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