L’Ocse boccia le politiche italiane sull’Istruzione

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Pantaleo, Flc Cgil: “il trend a ridurre le risorse è anche nel governo Renzi”. Gli studenti: “Ci rubano diritti e futuro”. La ministra Giannini replica con la solita demagogia

Bilancio sconfortante dall’Ocse sull’evoluzione dell’istruzione in Italia nell’ultimo quindicennio. Nella scheda sulla penisola, inserita nel rapporto annuale su questo aspetto chiave dello sviluppo, l’ente parigino rileva innanzitutto come la spesa pubblica italiana dedicata all’istruzione si sia contratta del 14% tra il 2008 e il 2013. E questo non corrisponde solo a una riduzione della spesa pubblica complessiva in termini reali, puntualizza l’Ocse, ma anche un cambiamento nella distribuzione della spesa pubblica tra le diverse priorità pubbliche: per altri servizi pubblici la contrazione della spesa è stata inferiore al 2%. Nel 2013, si legge, la spesa totale per l’istruzione dal livello primario a quello universitario è stata pari al 4% del Pil, rispetto alla media Ocse del 5,2%. Intanto “il corpo insegnante è il più anziano rispetto a tutti i Paesi dell’Ocse – prosegue lo studio – e registra una delle quote più basse d’insegnanti di sesso maschile. Dai sei ai sette insegnanti su dieci sono ultracinquantenni, mentre otto insegnanti su dieci sono di sesso femminile”. Contemporaneamente, nel corso degli ultimi dieci anni la proporzione dei giovani 20-24enni che non lavorano, che non studiano o che non seguono un percorso di formazione (i cosiddetti Neet) è aumentata di 10 punti percentuali in Italia, un aumento superiore rispetto a qualsiasi altro Paese Ocse. L’unico aspetto positivo evidenziato nel sommario dall’Organizzazione è che la maggior parte degli studenti della scuola secondaria superiore risulta iscritta a percorsi di istruzione tecnica e professionale. “Preparano gli studenti a entrare nel mercato del lavoro, ma offrono anche l’opportunità di proseguire gli studi a un livello superiore”.

Per il segretario generale della FLC Cgil i dati sono preoccupanti, soprattutto per il futuro delle nuove generazioni

“L’articolata e attendibile ricerca dell’Ocse sui sistemi generali dell’istruzione”, scrive Domenico Pantaleo, segretario generale della Flc Cgil, “conferma sostanzialmente l’allarme che ormai da anni la Flc, insieme alle altre organizzazioni sindacali, lancia, quasi sempre inascoltato. L’analisi della riduzione della spesa pubblica per l’istruzione, sia in relazione al PIL che in termini assoluti, tra il 2008 e il 2014, rilevata dall’Ocse, non solo fa scendere l’Italia agli ultimi posti della classifica mondiale, ma coglie le vere vittime delle politiche economiche di questi anni e dei tentativi di uscita dalla crisi attraverso meccanismi di austerity. Il sistema dell’istruzione pubblica ha pagato, insieme ad altri settori del welfare e dei servizi, la politica sbagliata dei tagli alla spesa pubblica, mentre si consegnavano miliardi ai privati sotto forma di cunei fiscali e decontribuzioni e non si aggrediva l’enorme evasione fiscale. Ne hanno fatto le spese le istituzioni pubbliche dell’istruzione e della  ricerca, dalle primarie alle Università, deprivate e impoverite di risorse; ne hanno fatto le spese i lavoratori della scuola e della conoscenza, i cui salari sono notevolmente al di sotto della media Ocse, mentre la riforma Fornero sulle pensioni, tra le peggiori in Europa, ha determinato una media di età sempre più alta tra i docenti. Ne hanno fatto le spese gli studenti che hanno visto negare dai governi il sacrosanto diritto allo studio e al lavoro sancito dalla Costituzione; sono state colpite le famiglie, la cui spesa privata per i figli a scuola è cresciuta in modo esponenziale, in assenza di risorse per il diritto allo studio.

Ci sembra che anche il governo Renzi non abbia invertito quelle scelte che vanno nella stessa direzione negativa denunciata dall’Ocse: ridurre sempre di più la spesa pubblica invece di investire, nella formazione e nella cultura delle giovani generazioni, nonostante i proclami della propaganda. Le risorse stanziate per la scuola sono positive, ma la legge 107 resta un disastro. Nei prossimi anni non si prevede l’aumento degli investimenti in istruzione e ricerca. Anzi, l’ennesima riduzione. Così non può più andare. Occorre alzare il dibattito pubblico sulla qualità della spesa pubblica e il destino delle nuove generazioni, investendo maggiori risorse in settori strategici come la scuola, l’università, la ricerca, e l’alta formazione. Solo così si esce dalla crisi,  affermando un modello di società che riduca le disuguaglianze e le ingiustizie”.

Gli studenti universitari di Link denunciano l’attentato al diritto costituzionale allo studio

“I dati pubblicati oggi dall’OCSE disegnano un quadro drammatico per l’istruzione nel nostro Paese. L’attenzione degli analisti si concentra non tanto sui dati assoluti, che vedono il nostro Paese ultimo in Europa, superato anche dalla Polonia, per numero di giovani laureati ma sulla tendenza che sta portando il nostro sistema di istruzione giù da un burrone in una fase di crisi economica che imporrebbe maggiori risorse su istruzione e ricerca per superare l’attuale modello di sviluppo.” dichiara Andrea Torti, coordinatore di LINK Coordinamento Universitario.

La spesa pubblica per l’istruzione in Italia è diminuita del 14% tra il 2008 e il 2013, facendo contro una contrazione degli altri settori pubblici anche inferiore del 2%. “Questi dati certificano ancora una volta che la progressiva riduzione alla spesa in istruzione e ricerca è una precisa scelta politica che si ripercuote sempre più sulla dispersione scolastica e sul numero di laureati, su questo versante l’ISTAT ha appena certificato che alla riduzione di un quinto di immatricolazioni in dieci anni, nel 2015 inizia a calare, per la prima volta dal 1945 il numero di laureati” dichiara Andrea Torti, che continua: “Il rapporto OSCE certifica anche come la riduzione di finanziamenti pubblici abbia portato a sempre maggiori esborsi da parte degli studenti, il nostro Paese è collocato al nono posto per tasse universitarie più alte, con una crescita significativa negli ultimi anni.”

“Per invertire la rotta e fermare questo esodo dalle università” conclude Torti “abbiamo scritto una Legge di Iniziativa Popolare dando vita, insieme a tante associazioni e movimenti, alla campagna All-In 50.000 firme per il diritto allo studio per costringere la politica ad affrontare questo tema e dare la giusta importanza anche in Italia all’istruzione universitaria”.

Tardivamente giunge anche la difesa della ministra Giannini: siamo i migliori

La ministra Giannini, e il Pd, si sentono chiamati in causa, ed invece di chiarire analiticamente la situazione italiana, rilanciano la becera propaganda. Le rilevazioni dell’Ocse riguardano un periodo che va dal 2008 al 2014. Ma va detto che dalla fine del 2011 il Pd è al governo, e la sua responsabile scuola è sempre la stessa. Non solo. I due ministri dell’Istruzione nel governo Monti e Letta erano di derivazione del Pd. Eppure, sembra che le responsabilità del passato appartengano sempre ad altri. Infatti, la nota della ministra è eloquente (il Pd governa l’istruzione da cinque anni): “La richiesta di maggiori investimenti e maggiore attenzione a temi come quello dei Neet e della dispersione scolastica ha già trovato una risposta nell’azione di questo Governo che ha finalmente invertito la rotta sulla scuola, intraprendendo con decisione la strada del cambiamento”. Non contenta, la ministra dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca Stefania Giannini aggiunge la solita demagogica riflessione sulla Buona scuola: “Con la riforma Buona Scuola abbiamo previsto un investimento di 3 miliardi aggiuntivi all’anno sul capitolo istruzione. Abbiamo assunto 90.000 docenti nel 2015, con un Piano straordinario, e bandito un concorso per oltre 63.000 insegnanti contribuendo al ringiovanimento del corpo docenti. Un dato, quest’ultimo, riconosciuto anche dal Rapporto OCSE”. Insomma, forse un po’ di verità e di umiltà dal Pd che ci governa sarebbe lecito attenderselo.

Da jobsnews


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