Colombia, l’accordo di pace non risparmia i difensori dei diritti umani

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Lo storico accordo entrato in vigore il 29 agosto tra il governo e le Forze armate rivoluzionarie di Colombia, che verrà formalmente firmato il 26 settembre a Cartagena e poi sottoposto a referendum popolare, è destinato a detta di tutti a porre fine a un sanguinosissimo conflitto armato durato mezzo secolo. I benefici, per la comunità dei difensori dei diritti umani, ancora non si vedono. Anzi.

Nei primi sei mesi dell’anno l’Ong Somos defensores ha denunciato almeno 35 uccisioni di difensori dei diritti umani e leader di comunità.   Ma la mattanza non è terminata dopo l’accordo di pace. L’11 settembre Néstor Iván Martínez, esponente del Consiglio della comunità dei discendenti africani di La Sierra, El Cruce e La  Estación e del Congresso del popolo, è stato assassinato a Chiriguaná, nella regione di Cesar. Difendeva l’ambiente e i diritti sulla terra e prendeva parte a campagne contro le attività delle imprese minerarie sul territorio della sua comunità.

Due settimane prima, proprio mentre entrava in vigore l’accordo di pace, nella provincia del Cauca Joel Meneses, Nereo Meneses Guzmán e Ariel Sotelo, dirigenti del Comitato per l’integrazione del massiccio colombiano, venivano fermati a un finto posto di blocco e uccisi da un gruppo di uomini armati.

E ancora, nell’ultima settimana di agosto, quattro nativi della comunità Awá sono stati assassinati da sconosciuti nella provincia di Nariňo. Ricordiamo i loro nomi: Camilo Roberto Taicús Bisbicús, leader della riserva Awá di Hojal La Turbia, ucciso nel comune di Tumaco; i fratelli Luciano e Alberto Pascal García, uccisi a Llorente; e Diego Alfredo Chirán Nastacuas, ucciso nel comune di Barbacoas.

I terreni agricoli e le terre abitate dai popoli nativi e da quelli di origine africana sono sempre molto ambiti da parte delle imprese minerarie e petrolifere, delle industrie alimentari e del narcotraffico. Questa lunga scia di omicidi rivela una delle debolezze dell’accordo di pace: una cosa è fermare un conflitto su larga scala tra l’esercito e un gruppo armato, un’altra è porre fine agli attacchi mirati contro i civili che difendono i diritti umani.


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