Finanza e mass-media, affinità distruttive (1°parte)

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Intro: lo spread dei media

Ogni mezzo di comunicazione di massa subisce, a un certo punto della sua evoluzione, una “bolla” causata da “eccesso del suo successo” se mi si consente questo paradosso rimato. Questo fattore porta inevitabilmente alla decadenza della sua funzione primaria che è: mantenere il top dello “share” di ascolto a costi contenuti, ai fini di ottimizzare i profitti investendo sulla qualità del palinsesto.
Viceversa durante questa fase l’aspetto edonistico del suo corpo prende il sopravvento, e il corollario estetico, abdicando la propria marginalità iniziale, sorpassa l’effettiva utilità del media in questione. Ciò produce un aumento dei costi per mantenere i fronzoli decorativi a scapito della qualità del servizio. Puntando a soddisfare gli istinti più beceri del suo pubblico, la bolla dei media trascina gli stessi al crollo qualitativo e, per mantenere almeno il baraccone di facciata, i costi lievitano.
Proiettata nel lungo termine, questa politica di abbrutimento non paga, perché quando si punta sulla forma a scapito dei contenuti, ci sarà sempre chi farà “peggio” di te, fregandoti il mercato!

Un esempio valido di raffronto può esser fatto citando l’ambiente finanziario; quando questi è sano, gli strumenti sono basati sulla funzione di collocare l’eccesso di capitale in titoli, azioni e obbligazioni di solide società, pubbliche o private.  In un quadro di crisi come quella attuale, questo si deteriora rapidamente, riconvertendo i classici strumenti finanziari in altri fondati invece sulla speculazione dei problemi societari.

Prendiamo i CDS (Credit Default Swaps); sono derivati assicurativi contro l’insolvenza finanziaria delle società, così come delle normali famiglie. Questi strumenti sono scambiati, venduti o comprati, approfittando della debolezza delle tipologie interessate; e realizzando profitti enormi.

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Basati su un fattore negativo e non coperti da capitali concreti, si avviteranno nel tempo in una spirale perversa che finirà per travolgere sia i creditori così come i debitori. I famigerati mutui sub-prime targati USA, che erano stati concessi dalle banche a cittadini senza alcuna possibilità di ripagare il debito contratto, hanno incrinato il sistema bancario americano, portando milioni di famiglie sul lastrico e togliendo loro la casa; ma è stata proprio la speculazione sui derivati di copertura che ha trascinato l’America, e poi tutto il mondo occidentale a essa legato dal dopoguerra in poi, alla crisi globale ancora in corso.

E il folle debito pubblico degli Stati Uniti, dovuto essenzialmente allo scriteriato rifinanziamento delle banche, che invece di essere commissariate per i loro crimini, sono foraggiate con un diluvio di miliardi, ha coinvolto inesorabilmente l’Europa, specialmente quella mediterranea di cui facciamo parte.

Lo spread, che altro non è che il termometro della speculazione, è stato eletto come indice di stabilità dai nostri “illuminati” economisti, avallati dai Capi di Governo (che siano la Merkel o Monti poco cambia); viceversa questo rappresenta il martello che gli speculatori usano per picchiare sull’incudine dei mercati finanziari affossando i titoli di Stato, di cui le stesse banche devono fare incetta per evitare il default, portando così il debito pubblico alle stelle grazie agli interessi accumulati; tornando ai media, questo circolo vizioso è paragonabile allo share di un programma di successo, che spesso non dipende dalla qualità oggettiva, bensì dalla popolarità che gode presso un pubblico ormai assuefatto a un palinsesto che fa leva sulla volgarità  e gli eccessi dei suoi protagonisti. Fino al punto che il cattivo gusto così esaltato, e i suoi costi insostenibili, non travolgono gli stessi autori, portando lo spread/share dei media a picchiate inesorabili. A riprova di ciò, il commissariamento voluto da Monti sul carrozzone Rai, eleggendo come Presidente dello stesso una Tarantola, che in Bankitalia era revisore di conti.

Negli anni 60’ invece la tv pubblica, pur priva di tecnologia, ma dotata invece di un mix vincente tra entusiasmo e ingenuità, aveva avviato un lodevole processo di educazione e formazione nei confronti della cittadinanza, ansiosa di riprendersi dagli orrori e la miseria della guerra; ma con l’aumento degli ascolti, politici e potentati economici non potevano farsi sfuggire occasione così ghiotta ai fini del potere, e la Rai passò nelle mani adunche di comitati d’affari controllati da banche e dal partito di maggioranza, la Democrazia Cristiana che ha rappresentato per decenni il punto d’incontro di membri del Vaticano, Massoneria e cosche mafiose. Per forza di cose, l’obiettività d’informazione e la freschezza dei programmi sono progressivamente sparite, tranne poche lodevoli eccezioni che faticosamente ancora resistono.

Tra questi cito La storia siamo noi, di Giovanni Minoli, ovviamente solo in seconda serata per chi riesce a resistere, e Report, di Milena Gabanelli, che per difendere le sue inchieste, deve sempre lottare ai fini di ottenere le coperture legali, che sovente l’azienda le nega.

Il monopolio DC e l’oligopolio successivo formato da un piccolo gruppo di partiti tra i quali i socialisti, avevano lottizzato Mamma Rai in tutte le strutture, per poi cedere il passo alla tv commerciale di Silvio Berlusconi. Imprenditore edile di pochi scrupoli, ma dotato di notevole intelligenza pur priva di cultura, egli afferrò subito l’utilità della televisione ai fini del controllo de l’opinione pubblica e dei politici, a tutela dei suoi affari.

Nel 1984 (data fatidica se si pensa al romanzo omonimo di Orwell, che in tempi insospettabili coniò per primo il marchio del Grande Fratello, ambientato in un futuro che è già passato e purtroppo ancora “fetente presente”) la Fininvest berlusconiana, già proprietaria di Canale 5 e Italia 1, rilevò dalla Mondadori  Uomo Tv, ribattezzato Rete4; avallata inizialmente dal socialista Craxi, creò un triumvirato mediale con il quale andare all’assalto dello sguarnito fortino Rai, soffiando a questa contratti commerciali, autori e protagonisti di primo piano dello spettacolo.

Non contento di ciò, Silvio nazionale infiltrò progressivamente, durante i decenni successivi, il Direttorio Rai e la sua Commissione di Vigilanza, insediando i suoi uomini di fiducia, quali Vespa nei talk show, Saccà prima e poi Masi nella direzione e soprattutto, negli anni successivi alla sua ascesa al governo dal 2008 al 2011, il famigerato Augusto Minzolini che trasformò il notiziario più importante, quello di RAI 1, in un mix di propaganda politica e gossip quotidiano.

Questo mentre Fido Fede presiedeva la plancia di controllo di Rete 4. Durante questi anni, i palinsesti di tv pubblica e tv commerciale fecero a gara nell’allestire un museo permanente degli orrori, e durante questa competizione del cattivo gusto, si consumò l’imbarbarimento finale dello spettatore medio, al quale propinare giorno per giorno una mistura velenosa, composta principalmente da tre ingredienti:

 1) Mercificazione costante del corpo della donna

Le donne decadono dal ruolo di protagoniste a quello di decorazione da salotto: una fila interminabile di veline, letterine, attricette di reality, affolla il piccolo schermo con i propri seni, spesso rifatti, i labbroni gonfi di silicone e gli spacchi vertiginosi che mostrano ampi spicchi di cosce e chiappe, a qualsiasi ora di programmazione.

Sulla falsariga del programma-pioniere Colpo Grosso, condotto da Umberto Smaila a fine anni 80’, che per primo aveva mostrato, ma in orari castigati, i topless integrali di belle ragazze in cerca d’autore, ora le nudità ammiccanti di queste stelline, sono cornice di qualsiasi programma a quiz o d’intrattenimento.

 2) Gossip e talk show

Il pettegolezzo, una volta confinato nei rotocalchi, metastatizza i programmi  televisivi; dai reality-show, fino ai notiziari Rai, nei quali, tra massacri mediorientali e politica interna, fanno capolino con ampi spazi di narrazione le vicende erotico/affaristiche modello Belen/Corona, oppure i matrimoni fantasmagorici stile William & Kate; tutto torna utile ai fini del controllo delle pulsioni delle masse, direzionate astutamente nella frivolezza gossip.

I talk-show sono una farsa atroce, durante la quale i Soliti Noti del politichese nostrano, fanno a gara nel simulare risse verbali che, tra urli e accuse reciproche, coprono l’assoluta nullità di soluzioni, e soprattutto la complicità reale, dietro le quinte dei commensali, che si spartiscono disciplinatamente la tavola imbandita della visibilità mediale.

3) Controllo dell’informazione

Come già scritto, il controllo dell’informazione era presso che totale, considerando i primi due canali Rai sotto il controllo dei pretoriani già citati, e quelli di Mediaset ovviamente allineati alle direttive del suo titolare. Le uniche voci fuori dal coro messe a tacere dopo l’editto bulgaro di Berlusconi emanato nel 2002, che tolse dalla programmazione Biagi, Luttazzi e Santoro; i primi due non ritorneranno mai più in Rai; Biagi morirà tempo dopo e Luttazzi sparirà per sempre.

Santoro con Anno Zero fece un rientro trionfale pochi anni dopo, per venire definitamente epurato insieme ai suoi collaboratori, tra cui il vignettista Vauro, nel 2011, dopo l’avvento alla direzione di Lorenza Lei, sostituta di Masi; fallimentare costui, nel tenere sotto controllo il combattivo conduttore.

Il resto è cronaca attuale. Poco è cambiato nella procedura; il tg 1 continua a fare cassa di risonanza per il premier attuale, e la sua squadra di “democratici”, Vespa ha la poltrona riservata per il suo nuovo “azionista di riferimento” e Tg 3 sta all’opposizione; la perfetta trasposizione in campo mediatico dell’eterno conflitto intestino in seno al PD.

Due parole su internet…

Dal canto suo, la rete mantiene ancora i suoi principi d’informazione alternativa, grazie soprattutto alla tecnologia dei suoi motori di ricerca e al genio del defunto Jobs, il quale con la creazione di gioielli come I-Phone e I-Pad, consentì al consumatore di documentare, tramite foto e video la realtà, e di mandarla on air, senza dimenticare la possibilità, tramite un’applicazione, di scrivere e pubblicare E-books, i libri elettronici fai-da-te che evitano gli esorbitanti costi anti-ecologici della carta (e la dittatura dei grossi editori). Malgrado ciò, il Web vive sotto costanti minacce: la pedofilia, spams ed e-mails truffaldine, ma soprattutto la violazione, purtroppo spesso consenziente, della privacy, perpetrata dai social network, Facebook in testa, impantanati nel superfluo dell’onanismo virtuale fine a se stesso; gli utenti sono trascinati in questa melma, e l’immenso capitale dei loro dati personali, utilizzato per fini commerciali.
Ancora una volta, il mercato punisce il gigante per i suoi cedimenti strutturali e di sostanza; il crollo in Borsa del titolo FB, iniziato subito dopo l’uscita sul mercato secondario, dimostrò che non basta la popolarità a mantenere alto il valore, se non si procede su un sentiero solido.

Mark Zuckerberg fece però una mossa da gran stratega, acquistando nel febbraio 2014, per una cifra fantasmagorica (19 miliardi di Usd) WhatsApp, che allora era solo un promettente servizio di messaggistica vocale e scambio foto/video, e oggi una delle aziende più ricche del pianeta, con un portafoglio utenti che presto supererà Facebook. Chi di noi non ha installato WUP sul suo smartphone? Il segreto del suo successo, che Zuckerberg aveva capito perfettamente, è la maggiore riservatezza garantita, rispetto alla sua creazione originale.

E fu ripagato per questa intuizione; oggi un’azione di FB vale sul mercato 110 dollari, rispetto ai 18 dei suoi minimi storici. E Jan Koum, fondatore di WUP, siede nel board di FB, godendo una larga fetta dei dividendi dei due colossi, oltre ai miliardi incassati dalla vendita. Insieme sfiorano i due miliardi di followers.


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