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La bellezza di Rubens e quella della tv

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Appare con una certa frequenza nei social, in questi giorni, il dipinto “Le tre Grazie” di Pieter Paul Rubens, un grande olio su tela (221×181 cm) databile intorno al 1638 e conservato presso il Museo del Prado di Madrid. Viene associato a notizie e opinioni riguardanti gli “scatoloni” con cui i rappresentanti del governo italiano hanno occultato le sculture antiche raffiguranti divinità nude o parzialmente nude, per non turbare il presidente iraniano Hassan Rohani. L’opera di Rubens è un capolavoro che ha suscitato grande ammirazione non solo ai tempi del maestro fiammingo. E’ curioso notare come, a livello popolare, i gusti del pubblico in fatto di pittura siano cambiati. I commenti che appaiono in Facebook sotto l’immagine sono piuttosto simili l’uno all’altro: “Non mi piace: donne brutte e sovrappeso”; “…e con troppa cellulite…”; “Che schifo!”; “Quanto grasso!”. “Ma si trova al Vaticano?” chiede un utente. “No, al Prado,” gli risponde un altro. “Ah, ecco…” scrive allora il primo. E i commenti continuano, nello stesso tenore: “Un dipinto riuscito male”, “Queste grazie avrebbero necessità di un lift…”, “E che atteggiamento da comari pettegole!”. Ed ecco finalmente un commento simpatico: “Anche noi ‘curvy’ qualche volta abbiamo un momento di gloria!”. Ma arriva subito una secca replica: “C’è poco da ridere, sono rotondità ridondanti sul serio”. L’immaginario proposto dai media, dalla televisione, dal cinema e dai social definisce e accetta, oggi, un solo tipo di bellezza femminile e a tale canone dovrebbero adeguarsi, secondo i comunicatori, modelle, attrici, cantanti, presentatrici. Tutte le altre forme di bellezza, ivi comprese quelle “divine” proposte dal genio di Rubens, tendono a essere relegate, idealmente, all’interno di tanti “scatoloni”, condannate a ricevere come massima gratificazione uno sguardo di simpatia, mai di ammirazione.

Il canone scelto da Rubens per questo celebre dipinto è quello della trasfigurazione “giunonica”, come spesso avvenne nel suo lavoro. Il dialogo – fatto di ammiccamenti – fra i visi delle divinità mostra l’interazione benefica fra grazia, gioia e prosperità. Come in altri capolavori dell’artista, la linea classica e quella barocca si compenetrano e le forme umane anelano alla dimensione immortale espandendosi in una formidabile mutazione plastica, da materia a pura energia.

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