Il confronto promosso dagli amici di padre Paolo

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Ecco i testi del dibattito “cristiani e musulmani per la misericordia” promosso dall’Associazione giornalisti amici di padre Dall’Oglio. Da padre Spadaro a Sammak.

Si è svolto il sette dicembre presso la fnsi il confronto “cristiani e musulmani per la misericordia”. A poche ore dall’inizio del Giubileo della Misericordia voluto da papa Francesco, aperto dal Bangui, l’Associazione giornalisti amici di padre Dall’Oglio ha promosso questo incontro nel nome del dialogo e del vivere insieme.
Qui vi diamo conto di alcuni interventi.
I lavori sono stati aperti da un breve saluto letto a nome dell’Associazione . Quindi ha aperto i lavori padre Antonio Spadaro, sj, direttore de “La Civiltà Cattolica”:

Papa Francesco non ama i muri. È certamente vero che il muro edifica, fortifica, rende solida una costruzione, anzi la fa essere se stessa. Ma quella di Bergoglio è una visione «eccentrica», sbilanciata, che modula i suoi equilibri in prospettiva dinamica, meno attenta, forse, agli equilibri interni e più protesa all’esterno di sé. Bergoglio parla di una Chiesa «in uscita», estroflessa. Una Chiesa che a delimitarla ha le pareti flessibili e permeabili di una tenda da campo.

Il 13 marzo 2015, secondo anniversario del suo Pontificato, Francesco ha annunciato l’indizione di «un Giubileo straordinario che abbia al suo centro la misericordia di Dio. Sarà un Anno Santo della Misericordia. Lo vogliamo vivere alla luce della parola del Signore: “Siate misericordiosi come il Padre” (cfr Lc 6,36)». Il Papa ha detto che cosa lo ha spinto a questa decisione: «Ho pensato spesso a come la Chiesa possa rendere più evidente la sua missione di essere testimone della misericordia. È un cammino che inizia con una conversione spirituale; e dobbiamo fare questo cammino».

Porta fidei era il titolo della Lettera apostolica in forma di «Motu proprio» di Papa Benedetto XVI con la quale l’11 ottobre 2011 si indiceva l’anno della fede. Dalla Porta fidei adesso si passa al Misericordiae vultus. Per Papa Francesco Cristo è «porta» perché ha un volto umano. Davvero umano. Il movimento binario (aperto/chiuso) della porta è trasceso. Il volto umano invece può avere una infinità di sfumature e di adattamenti alla persona che si ha di fronte. È mutato dal volto dell’altro che si ha davanti, ma soprattutto muta nel tempo, viene modificato dalla storia, cioè dal tempo che passa, e dalle situazioni.

Francesco ha reso la porta volto decidendo che la Porta Santa di San Pietro fosse la seconda ad essere aperta. La prima porta è stata aperta a Bangui, divenuta «capitale spirituale del mondo» e decidendo che ci fosse non una, ma dieci, cento, mille, migliaia di porte sente che si aprono.

Un tempo di misericordia
Dio agisce eminentemente dentro i processi storici, anche i più complessi e intricati. Così la misericordia di Dio si inserisce all’interno dei processi storici e delle vicende di questo mondo: delle società, dei gruppi umani, delle famiglie e dei singoli.

Nella mia intervista al Pontefice per Civiltà Cattolica mi disse che «Dio si manifesta in una rivelazione storica, nel tempo. Il tempo inizia i processi, lo spazio li cristallizza. Dio si trova nel tempo, nei processi in corso. Non bisogna privilegiare gli spazi di potere rispetto ai tempi, anche lunghi, dei processi. Noi dobbiamo avviare processi più che occupare spazi. Dio si manifesta nel tempo ed è presente nei processi della storia. Questo fa privilegiare le azioni che generano dinamiche nuove. E richiede pazienza, attesa».
E il tempo si dispiega in passato, presente e futuro. La misericordia per Bergoglio si distende temporalmente. È un processo.

Il passato e le impronte di Dio
A volte noi pensiamo che il passato della nostra vita sia qualcosa di fisso, come una pietra immodificabile. Questo irrigidisce i processi storici. La misericordia di Dio invece rende plastico, fluido, il nostro passato perché capace di cambiarne il codice genetico. Nella dinamica di conversione la memoria non va considerata come una trascrizione immutabile di fatti accaduti, ma la capacità di dare senso alle azioni compiute. Il passato – anche con i suoi conflitti e le sue contraddizioni – non è fissato per sempre: la conversione può combiare il senso di ciò che è stato vissuto. Conversione significa rideterminare il passato come premessa per un nuovo futuro. Questa è la potenza della misericordia. Agisce sul passato in vista di un futuro liberato dalle orme – che pensavamo indelebili – del peccato, del male, della colpa.

Il presente e la presenza che cura
Il tempo della misericordia per eccellenza è il presente perché permette la presenza, il contatto. Se nel passato la misericordia richiede di dare un nuovo senso all’esperienza vissuta, nel presente richiede la concretezza dell’opera. E la prima concretezza dell’opera è quell che il Papa mi ha detto nell’intervista che gli feci nel 2013: «Io vedo con chiarezza che la cosa di cui la Chiesa ha più bisogno oggi è la capacità di curare le ferite e di riscaldare il cuore dei fedeli, la vicinanza, la prossimità. Io vedo la Chiesa come un ospedale da campo dopo una battaglia. È inutile chiedere a un ferito grave se ha il colesterolo e gli zuccheri alti! Si devono curare le sue ferite. Poi potremo parlare di tutto il resto». Il legame tra misericordia, cura e guarigione, è evidente.
Ma la miserciordia è anche opera civile, «politica», capace di cambiare il mondo (cfr Angelus, 17 marzo 2013). Per Bergoglio la misericordia ha un valore politico per il mondo, diventando talora sinonimo di «pace» (cfr saluto ai pellegrini dopo l’Udienza generale, 8 maggio 2013). Sarebbe un errore immaginare che per il Papa la misericordia sia solo un concetto religioso che rimane chiuso nel proprio ambito. Lo ha ben compreso il Capo di Stato della ransizione della Repubblica Centrafricana, la signora Samba-Panza,Le parole della signora Samba-Panza. Sono sue forse le prime parole di un capo di Stato a riconoscere esplicitamente e in un discorso ufficiale il valore politico della parola spirituale misericordia. E la misericordia come categoria politica significa non considerare mai niente e nessuno come «perduto»: sia che si parli dei rapporti con Dio, con gli altri o tra nazioni, popoli e Stati.

Ricordo le parole che il cardinale Bergoglio scrisse nel Libro dei visitatori del Centro islamico e che Omar Abboud mi ha riferito: «Ringrazio Dio, il Misericordioso, per l’ospitalità fraterna, per lo spirito di patriottismo argentino che ho trovato e per la testimonianza d’impegno verso i valori storici della nostra patria».

Mi vengono in mente le parole del prologo alla terza edizione del Corano in castigliano, firmata il 15 marzo 1980, e scritta dal nonno di Omar Abboud. Si conclude così: «In questo momento decisivo per le religioni, mi sono sforzato anche di trasmettere, attraverso il Sacro Corano, la radicale convinzione che tutti gli uomini, oltre qualsiasi tipo di frontiera, siano fratelli in Dio, solidali nella fondamentale vocazione di percorrere in questa vita tutte le strade legittime per costruire un mondo migliore, e meritare in questo modo la pienezza divina dell’altra vita».

Il futuro e la condizione del paziente
Misericordia è aver «cura», una cura che non è miracolistica, istantanea. La cura è – in termini medici – una terapia che richiede una tensione verso il futuro. Nella Misericordiae Vultus il Papa scrive con chiarezza: «Il perdono è una forza che risuscita a vita nuova e infonde il coraggio per guardare al futuro con speranza» (n. 10).

È sempre Omar Abboud a parlare: «La pace è un diritto inalienabile, come il diritto all’identità, all’alimentazione. Ed è una delle basi del dialogo interreligioso: non basta la sicurezza, ci vuole la pace. C’è una grande differenza tra sicurezza e pace. Tu puoi anche avere sicurezza ma non è detto che questa sia espressione di pace. Infatti, se hai sicurezza senza pace allora certamente c’è gente che sta soffrendo. Se la pace è conseguita attraverso la sofferenza e la morte si sta solamente costruendo una sofisticata bomba ad orologeria che prima o poi esploderà».

Un tempo nuovo
Da qui due impegni.
Il primo è quello del dialogo, che non significa discutere insieme sulle idee e sulle posizioni, ma fae qualcosa insieme. Solo così si puà trovare un linguaggio comune. Oggi c’è bisogno non solamente di concetti, ma anche di nuove immagini. Abbiamo bisogno di un nuovo immaginario di pace. Il Papa e l’imam che sono isnieme sulla papamobile sono un immagine di pace. Ed è anche il frutto della «piattaforma interreligiosa» di Bangui che ha sostenuto il porcesso di pacificazione nazionale. In particolare sappiamo dell’amicizia personale che lega l’imam Omar Kobine Layama e l’arcivescovo di Bangui, mons. Dieudonné Nzapalainga, che in questa occasione si è rivelato giovane figura di alto profilo della Chiesa africana.

Il secono impegno è quello religioso e consiste nel cercare e trovare il volto di Dio. Il Giubileo della Misericordia difatto è un nuovo annuncio di Dio ed esprime l’impegno a riaprire in termini non soltanto astratti, ma esistenziali, la questione di Dio, su chi sia Dio, sul suo volto, in un mondo che ormai agisce etsi Deus non daretur, cioè a prescindere dalla sua esistenza, non riconoscendone il volto. Dire che Dio è onnipotente ed eterno significa che lo è nella sua misericordia, la quale non è limitata da nulla: né nello spazio né nel tempo.

È questo il momento favorevole per poter riconoscere il Misericordioso.

Quindi hanno preso la parola Abdellah Redewane, segretario generale del centro culturale islamico di Roma e Yahya Pallavicini, vice presidente della Coreis.

Alla successiva tavola rotonda coordinata da don Vittorio Ianari, della Comunità di Sant’Egidio, hanno preso la parola il professor Antoine Courban, della Saint Joseph University di Beirut e Muhammad Sammak, segretario generale dello Spiritual Islamic Summit. Per primo ha parlato il professor Antoine Courban. ecco una sintesi del suo intervento

Eminenze, Eccelenze, Signori e Signore
Ringrazio gli organizzatori di questa manifestazione, dell’onore che mi fanno accordandomi il privilegio di poter parlare dall’alto delle vostra prestigiosa tribuna,
E’ con emozione che mi trovo davanti a voi alla vigilia dell’innaugurazione dell’anno giubilare dedicato ala Misericordia, termine che non si puo’ separare da quello di giustizia e da quello di Amore.

Bisogna ricordare che tutte le sure del Corano cominciano con l’invocazione al Dio della misericordia :il molto Clemene, il molto misericordioso

La misericordia sul piano umano individuale, esprime l’amore di ciascuno per tutti
Dal punto di vista sociale, e’ inseparabile dalla giustizia degli uomini.
Viene dopo la sentenza giudiziaria e non la sostituisce.
E’il giudice che da prova di mitezza nell’esecuzione delle sentenze.
In un mondo immerso nelle tenebre dell’odio e della violenza questo anno giubilare ci ricorda che il Male ha sempre dei limiti: solo il Bene e’ infinito. La frontiera del Male e’ ciascuno di noi, quando non si rinchiude nel ghetto narcisistico individuale o identitario colletivo.

Oggi in questi tempi di apocalisse e di caos millenarista, noi abbiamo i mezzi per distruggere tutto
Ma domani, cosa faremo ? se non ricominciare a vivere insieme ricordandoci che l’umanita’ e’ una. C’e’ solo una famiglia umana.
Senza la Giustizia, l’Amore, la Misericordia e la Carita’non avrebbero alcun senso. Giustizia prima di tutto.
Eecco perchè io faccio questa riflessione nella memoria di quello che scrisse sant’Ambrogio da Milano in merito ai due modi di peccare contro la Giustizia ” ..l’uno e’ quello di commettere un atto ingiusto,l’altro e’ quello di non venire in soccorso alla vittima di un aggressore ingiusto( de Officiis I,29)”

Ricordiamoci di sant’Ambrogio quando pensiamo al popolo di Siria, così come a tutte le vittime di tutti i terrorismi, religiosi ideologici e politici.

Signore e signori,
A dispetto di tutti gli orrori che i tiranni, gli illuminati jiadisti e i nihilisti diffondono ovunque, noi abbiamo l’obbligo di restare fermi nelle nostre convinzioni e di affermare, nel nome della misericordia, che l’identità etnica o religiosa non fonda l’unità politica.
L’unità politica ha il suo fondamento nella Legge che governa un territorio.
Il Signor Mohammad Sammak, di confessione musulmana, e io stessso cristiano, siamo cittadini libanesi in virtu’ delle leggi libanesi e non in virtu’ delle nostre identita’ confessionali.
Non mi verrebbe mai in mente di farmi il campione, come parte di una crociata contro Daesh, delle sole vittime cristiane della Mesopotamia e della Siria.
Perche’ allora, il signor Sammak sarà necessariamente il moi nemico, e io aprirei di nuovo le porte dell’inferno di una guerra civile.
E’ proprio la trappola nella quale l’odio identitario cerca di farmi cadere.
Io sono solidale con tutte le vittime del Levante perchè sono un membro della famiglia umana.
Eppure, esprimo una carità particolare verso le vittime cristiane in nome della nostra appartenenza comune alla Chiesa. Ma mai a destrimento della solidarietà e della fraternità che mi legano ai concittadini del moi paese, Libano. Ecco perché noi rifiutiamo ogni strumentalizzazione della sensibilità religiosa, messo al servizio di interessi politici

Noi rifiutiamo che sia conferita una qualsiasi legittimità religiosa alle posizioni politiche degli stati, alle operazioni militari delle loro truppe così come ai gruppi e alle organizzazioni armate.

Noi rifiutiamo che delle guerre o delle azioni terroristiche possano essere giustificate in nome della Religione.

Così condanno senza equivoci, da cristiano, il fatto che la “protezione dei cristiani” possa servire da pretesto al servizio di obiettivi strategici o politici.

Non vedo peggiore ingiustizia, perchè questo vorrebbe dire che milioni di vittime mussulmane innocenti sarebbero escluse dalla misericordia.
Nella sua omelia del 18 ottobre scorso,il metropolita ortodossso di Beyrouth, Audi, ha preso chiaramente posizione nei confronti del concetto di ” guerra santa “, come certi media hanno definoto l’intervento militare russo in Siria :
« …come crisitani nella Chiesa di Antiochia, noi soffriamo ad essere maltrattati, cacciati ed espulsi dalle nostre case. Il nostro popolo e’ gettato sulle strade dell’esilio ma si rifiuta di rispondere al male con il male. Che sia ben chiaro, agli occhi di tutti, la Chiesa Ortodossa alla quale noi apparteniamo, non benedice alcuna guerra e non la definisce come “santa”. Chiunque lo faccia non ha capito le parole del Signore : Amate i vostri nemici, fate del bene a quelli che vi odiano ».

Signore e signori,
La guerra e’ spesso un male inevitabile, necessario, lecito. Ma non produce ne conferisce alcuna sacralità.

Come ha detto il Dalai Lama a chi gli domandava se pensava di pregare per Parigi dopo gli attentati terroristici:
“Gli uomini hanno creato questo problema, il terrorismo e adesso chiediamo a Dio di risolverlo.Dio direbbe: risolvetevelo da soli, visto che voi lo avete creato. Abbiamo bisogno di un approccio sistemico per favorire i valori umani.

Il mondo attuale e’ diviso verticalmente in due campi: da una parte i radicali nihilisti e violenti, dall’altra i moderati anonimi, che sono maggioritari, la cui voce e’ sovrastata dalle grida dell’odio.

Questa divisione e’ particolarmente palpabile tra le due sponde del Mediterraneo perchè il nostro mare è lo spazio di contatto (incontro) privilegiato tra le culture delle religioni monoteiste.

Tutti i nostri vecchi demoni si sono risvegliati. Noi siamo nel pieno di una guerra metafisica il cui campo di battaglia e’ l’immaginario di ciascuno di noi. E’ una guerra molto moderna di immagini e di rappresentazioni.

Da una parte, un universo fantastico dove la rappresentazione di un Dio arbitrario è onnipresente e non lascia alcun spazio all’Uomo.
Dall’altra, un universo utopico dove l’Uomo, disperatamente solo, e’ talmente presente che non lascia nessuno spazio a Dio.
La globalizzazione ha eliminato tutti i corpi intermedi ( stato ,frontiere sovranità religioni tradizionali) che potevano assorbire lo choc dello scontro immaginario di queste realtà ultime : Dio e Me.

La potenza insospettata dello psiche umana si scatena oggi contro l’uomo.
Il nichilismo globale ha sostituito l’umanesimo integrale, un umanesimo in cui l’uomo non è ne schiavo di Dio né suo rivale.

Signore e signori,
I libri sacri,compresi quelli del Buddhismo, contengono una doppia faccia: quella della violenza così come quella della più sublime delle testimonianze. L’Islam non sfugge a questa regola.
Le guerre sante moderne sono più guerre tra reti identitarie che tra potenze politiche tradizionali. Il dramma siriano e di tutto il Levante ne è la fotografia la più tragica.

Le guerre sante sono il risultato del vuoto creato dalla rimozione dell’autonomia del politico e della sovranità garantita dallo Stato

La scissione del mondo mette faccia a faccia l’Identità e la Cittadinanza. Noi assistiamo a una islamizzazione della radicalità e non ad una radicalizzazione dell’Islam.
Spetta ai musulmani stessi trovare una soluzione a questo scottante problema.

Sta ai poteri politici e alle autorità di proteggere i cittadini e di portare i criminali davanti alla giustizia

Sta a ciascuno di noi essere misericordioso e non demonizzare l’altro, soprattutto il musulmano Il terrorismo, qualunque sia la giustificazione ideologica o religiosa, deve essere fortemente condannato.

Non si deve fare una distinzione tra i terrorismo ” laico “, quello praticato da dittature quale il regime siriano, un terrorismo ” islamista”, come quello praticato da Daesh, una terrore islamofobo che pretende di difendere i crisitani d’occidente e d’oriente, o ancora una forma di terrore nazionalista come quella praticata da coloni israeliani.

La risposta a questo tipo di terrore globalizzato, si deve ottenere attraverso un’azione congiunta condotta dai moderati delle due rive del Mediterraneo. I moderati come noi , sono maggioritari ma non coordinano la loro azione, mentre i radicali violenti sono organizzati.

Noi siamo in molti in Libano, e altrove, a operare per una carta comune, la ” Carta per il mediterraneo del vivere-insieme” che supera il defunto processo di Barcellona.

In questo inizio dell’anno della Misericordia il ruolo della Chiesa di Roma appare, da questo punto di vista, come centrale.
Prima di tutto perché è Roma.

Poi perché la Chiesa di Roma ha intrapreso una interessante evoluzione da qualche decennio.

E oggi, gioca un ruolo geopolitico globale quale garante della cittadinanza e di quei valori morali essenziali che fondano l’umanesimo integrale.

L’apertura di Roma a tutte le religioni si inscrive, come dice Manlio Graziano, in una strategia di « Santa Alleanza » potendo avere il ruolo di scudo protettore dell’Uomo contro « la Guerra Santa »

Formulo l’augurio che quest’anno della misericordia possa suscitare , grazie a Roma, le iniziative e le parole profetiche di cui il mondo ha bisogno.

Noi abbiamo lasciato per troppo tempo il dialogo interreligioso ai soli teologi.
Noi abbiamo privilegiato la Ragione che discute, e abbiamo dimenticato lo Spirito che illumina.

Ma io faccio anche un sogno (i have a dream) :
Quello della riconciliazione con Ismaele, l’altro figlio di Abramo. Ho l’intima convinzione che papa Francesco, vescovo di Roma, sapra’ trovare gli strumenti adeguati per tale riconciliazione urgente e necessaria.

Spero che vedremo il papa di Roma, come altri primati delle chiese cristiane e dei grandi rabbini dell’Ebraismo, in compagnia del custode dei Luoghi Santi dell’Islam, i Rettori delle grandi scuole coraniche, dell’Ayatollah de Qom e dei chierici de Najaf riuniti insieme su nostra terra d’Oriente che ha visto nascere le nostre civiltà e religioni.

Io sogno anche di vedere nascere a partire da Roma o da una altra parte questa carta degli uomini di buona volonta’ artigiani di pace, in favore del vivere insieme nel Mediterraneo.

In questo anno della Misericordia, in mezzo alle tenebre del terrore che deflagra ovunque, noi non abbiamo altra risposta da opporre alla violenza che la nostra volontà di condanna e la nostra fiducia nell’appello al vivere insieme che io formulo cosi’ :
Modérés de tous les pays, unissons-nous.
MODERATI DI TUTTI I PAESI, UNIAMOCI

Quindi ha preso la parola il professor Muhammad Sammak, segretario generale dello Spiritual Islamic Summit, unico musulmano ad essere intervenuto a due sinodi, quello sul Libano e quello sul Medio Oriente, che ha parlato di “cosa i musulmani possono apprendere dalla Dichiarazione Nostra Aetate: “Ci sono due domande preliminari.
C’è qualcosa di sbagliato per il mondo musulmano e nel mondo musulmano nell’apprendere dagli altri?

Cosa c’è di eccezionalmente giusto ed ispiratore nella Nostra Aetate da cui i musulmani possono apprendere?
Sono domande interconnesse:
Un terzo dei musulmani, 1 miliardo e seicento milioni in totale, quindi 600 milioni di loro, vivono in paesi non islamici: e due terzi dei 2 miliardi e 200 milioni cristiani vivono nel Terzo Mondo, Africa e Asia, dov’è l’Islam, al di là dell’America Latina.
Questa interconnessione fisica comporta la necessità di una mutua accettazione, del rispetto e della cooperazione. La porta principale per giungervi è un reciproco comprendersi.
La Nostra Aetate è la fonte principale di questa comprensione. Per essere onesto devo ammettere che sì, c’è qualcosa di sbagliato, con e nel mondo islamico.
Questo mondo è molto ricco di risorse naturali, ma le sue genti sono povere e insicure.
La più alta percentuale di rifugiati e senza fissa dimora è costituita da musulmani.
Le tensioni sono altissime tra musulmani di differenti confessioni (sunniti e sciiti) e tra musulmani e non musulmani, prescindendo da chi sia responsabile, dove e perché.
Musulmani e Induisti in India e Sri Lanka
Musulmani e Buddisti in Cina, Thailandia, Myanmar.
Musulmani e Cristiani Ortodossi in Russia
Musulmani e Cristiani cattolici in Europa, etc
Musulmani e Protestanti in Usa etc
Musulmani ed Ebrei in Israele e altrove
Musulmani e altri credenti (come gli yazidi d’Iraq, ad esempio) Considerato che durante il corso della storia le relazioni dei musulmani con questi popoli sono state molto cordiali e costruttive, considerato che la civiltà islamica è stata il prodotto del loro contributo nel contesto del riconoscimento, del rispetto e della cooperazione, queste negatività contemporanee richiedono una coraggiosa riconsiderazione e rivalutazione della situazione nel mondo islamico e con il mondo islamico. Questo richiede per prima cosa l’ammissione, addirittura la confessione, che c’è un grave problema. Non è vero che altri sono i colpevoli di ciò, ma i musulmani stessi sono responsabili. No serve più evitare l’autocritica e cercare rifugio sotto l’ombrello del” complotto straniero contro l’Islam”: ma criticare noi stessi musulmani, in primo luogo. Noi, musulmani, dobbiamo ammettere che ci troviamo davanti ad un problema reale ed esistenziale. La giusta definizione di questo problema è già di per sé una buona metà della soluzione, come ha indicato il sociologo inglese W. Hacksly decenni fa.

Il problema è chi ha l’autorità, la legittima autorità per definire il problema? E chi ha il coraggio di ammettere che i musulmani dovrebbero apprendere da altre costruttive esperienze coma la dichiarazione Nostra Aetate?
Prima di parlare dela Nostra Aetate, e di cosa e come apprendere da essa, lasciatemi dire qualcosa di un uomo che ha fatto la storia: quest’uomo è Angelo Roncalli. Angelo era un soldato dell’esercito italiano durante la Prima Guerra Mondiale. Sul campo di battaglia è stato testimone di come milioni di persone vennero uccise in ogni modo, anche con i gas. Ne rimase scioccato e se ne ammalò. Dopo la guerra scelse la vita religiosa per trovare rifugio spirituale, e fu inviato presso le Nunziature Apostoliche in Grecia, poi in Bulgaria, dove scoprì gli orodossi,poi ad Ankara, dove conobbe i musulmani. Nel dopoguerra divenne vescovo e Nunzio in Francia, dove comunismo, secolarismo e movimenti di sinistra erano ai loro massimi livelli.

Il 28 ottobre 1958, divenuto cardinale, fu eletto Papa. Papap Giovanni XXIII portò con sé al papato la sua esperienza e i suoi incontri dei tempi di guerra e di pace. Il 25 gennaio del 1959 indirizzò per la prima volta nella storia un messaggio all’ONU (cioè a tutte le nazioni di diverse religioni, culture ed etnie) nel quale disse:
” La pace sulla terra è un oggetto di profondo desiderio per l’umanità” Confermò nel suo messaggio quattro principi per ottenere la pace per l’umanità: “Verità, giustizia, solidarietà e libertà.”
A quel tempo la Chiesa cattolica considerava il comunismo anti-cristiano (Papa Pacelli). Ma Giovanni XXIII ricevette in Vaticano il cognato del Presidente Sovietico, Nikita Kruscev.
Questa è una breve storia del Papa che ha convocato il Concilio Vaticano II, con 2450 vescovi giunti da tutto il mondo, ma che morì il 3 giugno 1963, due anni prima della conclusione del Concilio che ebbe il suo culmine nella dichiarazione Nostra Aetate.

La Nostra Aetate girò la pagina cancellando tutte le previe leggi contro i Vescovi di Costantinopoli che avevano condotto nel 1954 al grande scisma. Qui i musulmani possono apprendere il coraggio della riconciliazione tra sunniti e sciiti.
La dichiarazione Nostra Aetate ha riconciliato la Chiesa cattolica con gli Evangelici e gli Ortodossi, ponendo le basi del dialogo ecumenico. Qui i musulmani di nuovo possono apprendere come costruire ponti con le altre confessioni musulmane.
La Nostra Aetate aprì le porte al laicato per partecipare alle sue attività. Adesso Papa Francesco sta aprendo nuove porte.
LA Nostra Aetate ritirò il vecchio verdetto che condannava tutti gli ebrei fino alla fine dei tempi per crocefissione di Gesù Cristo. La Magna Carta delle relazioni ebraico-cristiane.
La Nostra Aetate dichiarò che i musulmani sono credenti in un Dio e che rispettano Gesù e la Vergine Maria: per quanto non credano che egli sia Dio, credono che Egli è un Profeta. Che credono nel Giorno Dopo quando Dio giudicherà tutti. Che venerano Dio con la preghiera, la carità, il digiuno. Dopo il Vaticano II e su queste basi papa Paolo VI, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI si sono rivolti ai musulmani come fratelli. Così anche ha fatto Papa Francesco.
Non sono poche le lezioni per i musulmani del 21esimo secolo. Ma non possiamo imparare se non realizziamo che dobbiamo imparare. E non possiamo realizzare il bisogno di imparare se non sentiamo di aver torto in qualcosa. E non possiamo avere questa percezione se non siamo abbastanza coraggiosi da mettere in pratica l’autocritica.
Dopo di ciò, dovremmo essere così coraggiosi da ammettere che dobbiamo apprendere dalle esperienze di altri, specialmente se questo altro è esterno al nostro sistema spirituale e dottrinale.
Ma prima di dire come imparare, lasciatemi sottolineare alcuni punti importanti: Al contrario di ciò che gli estremisti (come l’ISIS) fanno nel Medio Oriente, e al Medio Oriente, i cristiani sono descritti nel Santo Corano come credenti in Dio, e sono più vicini al musulmani. Il loro clero è apprezzato per essere umile, per quanto in principio non ci sia clero nell’Islam come il Profeta Maometto ha chiaramente dichiarato. Ecco perché non c’è uno stato religioso nell’Islam, uno stato retto da un clero che non c’è, o che non dovrebbe esserci, in primo luogo. L’Islam loda la Bibbia nel Corano, cito: ” C’è luce nella Bibbia e lasciate i popoli della Bibbia seguire ciò che Dio ha rivelato loro nella Bibbia”. Il Profeta Maometto ha proibito anche l’uso di una sola pietra impiegata per costruire una Chiesa nella costruzione di una moschea o della casa di un musulmano, perché le Chiese sono considerate Case di Dio, e quindi da rispettarsi come moschee. Ora per noi- musulmani- seguire l’esempio del Vaticano II come indicato dalla dichiarazione Nostra Aetate richiede un leader religioso cone Giovanni XXIII, che creda nell’umanità come una famiglia, e che rispetti e creda in tutte le religioni. Dopotutto, essere musulmani vuol dire credere in tutti i Messaggi di Dio, e in tutti i suoi Messaggeri, quelli che sono citati nel Santo Corano e quelli che non lo sono. Credere nell’Islam è anche credere nella pluralità umana, e nelle differenze umane come manifestazione della gloria di Dio. Io non so chi abbia l’autorità morale e religiosa che aveva Giovanni XXIII per riunire 2450 dotti e imam di tutto il mondo islamico e convincerli a rimanere riuniti a discutere fino a quando possano giungere a un’interpretazione unitaria dei principi islamici del 21esimo secolo che si confronti con le sfide umane contemporanee. Questo non vuol dire sottovalutare i molti coraggiosi tentativi che i musulmani hanno fatto sin qui.

I quattro documenti di al-Azhar sulla libertà umana e lo stato nazionale.
I principi sanciti a La Mecca contro l’estremismo e il terrore.
La dichiarazione di Amman su Islam e stato civile.
La Dichiarazione di Beirut sulla libertà religiosa.
E questo solo per citare alcune iniziative alle quali ho personalmente preso parte. Il punto è come unire tutto ciò per farne una palle di neve da buttare giù dalla montagna.
Quarant’anni dopo essersi arresi nella guerra che loro avviarono, i tedeschi hanno capito che il giorno della loro sconfitta è stato il momento della loro liberazione, come ha detto il primo presidente della Germania riunificata, Richard Von Weizsacher.. Questo è vero. Ed è anche vero che noi musulmani dobbiamo capire che il giorno della sconfitta dell’estremismo religioso e dela violenza nel nome di Dio sarà il momento della nostra liberazione.
Il nazismo non fu sconfitto dall’interno perché dominava- o si era imposto- alla cultura nazionale del tempo. Ecco perché quasi tutto il mondo cooperò a sconfiggerlo. Il caso è diverso con l’estremismo islamico. Dovrebbe e può essere sconfitto dall’interno, semplicemente perché è contro l’Islam, e perché gli estremisti sono una piccola minoranza, una minoranza davvero piccola, in un mondo islamico di un miliardo e seicento milioni di fedeli. Questo non vuol dire escludere la cooperazione internazionale. Al contrario. Questa cooperazione non è solo necessaria, è un dovere, per sradicare le gang di estremisti che commettono crimini contro l’umanità nel nome dell’Islam, una religione che crede in tutte le altre religioni, e che pace è il nome di Dio:

ecco perché è importante liberare l’Islam dal terrore: non solo è giusto, ma è la base per impegnare l’Islam in una guerra culturale e religiosa contro il terrore, un impegno senza il quale, la forza militare da sola, non produrrà risultati. L’invisibile muro di Berlino costruito dai terroristi nel Medio oriente che è stato costruito da estremisti deve essere abbattuto. Abbiamo bisogno di un 1989 mediorientale, che rispetti la dignità e la libertà umana e fermi le migrazioni, specialmente dei cristiani, e riapra le menti e i cuori alla riconciliazione e all’amore.

Dopo tutto, la guerra all’estremismo e al terrorismo perpetrato nel nome dell’Islam è una guerra islamica perché è una responsabilità islamica in primo luogo. Ci sono molti dotti che si ergono coraggiosamente contro idee sbagliate e che deformano la dottrina islamica. Sanno bene che questa è una guerra lunga e costosa che non può essere vinta , come ho detto, solo con mezzi militari. Ma al contempo ci sono alcuni cristiani che aspettano la seconda apparizione di Gesù, e alcuni musulmani che attendono il ritorno del Mahdi. Altri sognano un “Califfato” immaginando come la “città sulla Collina”. Io sono più umile. Io cerco un Angelo Roncalli musulmano.

Dopo il confronto dedicato alla misericordia e i migranti, nel corso del quale è stato letto un saluto del cardinale Antonio Maria Vegliò e l’intervento di padre Camillo Ripamonti, sj, ha avuto luogo il dibattito su “uno stimato religioso” e la necessità del vivere insieme. Insieme al teologo musulmano Adnane Mokrani, docente al Pisai, e all’imam di Trieste, Nader Akkad, è intervenuto il professor Paolo Branca, docente alla cattolica di Milano e responsabile dei rapporti con le comunità islamiche della diocesi di Milano. ecco una sintesi del suo intervento:

Qualcuno ipotizza di eliminare crocefissi e persino presepi dalle scuole, per non urtare la sensibilità dei musulmani. Niente di più falso! Benché il Corano riconosca in Gesù solo un grande profeta, non il Figlio di Dio, ne ricorda la nascita dalla Vergine Maria come fatto prodigioso e in Libano la ricorrenza dell’Annunciazione è addirittura festa nazionale per tutti.
In Egitto alcune feste mariane vedono la partecipazione di centinaia di migliaia di persone, musulmane ancor più che cristiane. Infine, le numerose scuole cattoliche di salesiani, comboniani, francescani. un po’ ovunque nel mondo islamico hanno prevalentemente allievi di fede musulmana che non hanno alcun problema a vivere fra statue della Madonna, Sacri Cuori, Crocefissi e via dicendo. Anche in Europa e in Italia, del resto, non sono davvero pochi i musulmani che preferiscono iscrivere i propri figli a scuole cattoliche, dove li considerano più protetti da alcune preoccupanti derive della gioventù occidentale, quali droghe, parolacce, tatuaggi o piercing. Anzi, il venticinque per cento di coloro che frequentano il migliaio di oratori della Diocesi Ambrosiana sono musulmani, che vi trovano un ambiente adatto e ben visto dalle loro famiglie almeno per fare i compiti e giocare a pallone. È purtroppo vero che alcuni parlamentari egiziani, ad esempio, di correnti fondamentaliste hanno lasciato l’aula in segno di protesta quando si sono espresse le condoglianze per la morte del Papa Copto Shenuda, o si sono espressi negativamente circa l’uso dei musulmani locali di rivolgere gli auguri ai connazionali cristiani per le loro feste.
Ma si tratta di minoranze sparute di fanatici che ben poco hanno a che fare con la vita quotidiana di molti paesi del Nordafrica e del Medio Oriente.

Stupisce e addolora la strumentalizzazione che qui e ora vien fatta della presenza islamica per rinfocolare una diatriba fra laicisti e clericali che dovrebbe aver fatto il suo tempo! I recenti attentati in Francia accendono gli animi nel segno di uno scontro identitario che fa solo il gioco dei fondamentalisti. Un fuoco del tutto diverso dovrebbe essere acceso per illuminare le imminenti festività natalizie, sul solco dell’esempio e dell’insegnamento di Papa Francesco che non perde occasione per rinnovare l’appello a una fraternità umana universale!
Le luci psichedeliche del commercio non ci confondano, impedendoci di dar luce anche ai segni della misericordia, della quale ci apprestiamo a celebrare l’anno giubilare. Milano, grande laboratorio interculturale e interreligioso ormai da decenni, sappia aprirsi almeno a qualche “buona novella”, meno sdolcinata di troppe tradizioni locali pur rispettabili, ma più essenziale nel suo contenuto etico e spirituale e utile al bene comune.
Anche gli agnostici e i non credenti potranno avere l’occasione di ritrovarsi in questa linea di riconciliazione, di cui il mondo intero, ma soprattutto la tormentata area mediterranea, hanno tanto bisogno per esorcizzare l’incubo di nuove guerre totali. Le vere radici delle tradizioni religiose che in questa zona hanno avuto origine e si sono sviluppate sono più simili e intrecciate di quanto sappiamo immaginare, inondati da cumuli di fatti di cronaca deprimenti, ma ignari di un lungo percorso storio e culturale che ci ha visti anche capaci di feconde e mirabili forme di reciproco arricchimento.

Ecco infine il saluto d’apertura, dell’Associazione giornalisti amici di padre Dall’Oglio, letto da Riccardo Cristiano :

L’Associazione Giornalisi Amici di padre Dall’Oglio deve un sincero ringraziamento a voi tutti, in special modo a chi viene da fuori Roma, e in particolare a Mohammad Sammak e Antoine Courban così generosi da venire appositamente da Beirut. Grazie. Ma devo ringraziare anche chi non c’è: per primo l’ideatore di questo nostro incontro, padre Paolo Dall’Oglio, sequestrato come tanti suoi fratelli siriani nella sua amata Siria. Senza di lui oggi non saremmo qui. E poi Samir Frangieh, il cui esempio è una sorta di integratore spirituale levantino all’esempio che Paolo ci ha dato. Molte volte, parlando o leggendo di lui, mi ero soffermato sul particolare che questo determinato e schivo intellettuale cristiano aveva sempre voluto conservare la sua residenza nel versante di Beirut che noi chiamiamo musulmano. Il perché l’ho capito quando l’ho conosciuto, notando sul suo tavolo un foglio con su scritta la celebre frase di Martin Luther King: “o impareremo a vivere insieme come fratelli e sorelle o periremo tutti come degli stolti”.
L’accoglienza di casa Frangieh, la sua necessità di salutare ogni mattina il verduraio sciita che ha il negozio sotto la sua abitazione, mi hanno spiegato molto della tenda abramitica di padre Paolo: per me non è un caso che proprio Martin Luther King sia stato l’uomo più citato da Papa Bergoglio nel suo viaggio americano. Il papa della misericordia, dell’accoglienza, sono certo che convenga sull’urgenza di fare del sogno del reverendo americano una realtà.
La società del vivere insieme non è la società del convivere, e il fatto che oggi tra le possibili convivenze via sia anche quella dei separati in casa mi sembra spiegarlo nel migliore dei modi. Nella nostra associazione non ci sono solo credenti, ci sono anche agnostici, e tutti insieme siamo convinti che senza il contributo delle comunità religiose questa urgenza rimarrà un sogno. Troppi, troppo più importanti di noi, hanno saputo dire da tempo che non ci sarà pace nel mondo finché non ci sarà pace tra le religioni. Ma questa pace non può essere solo auspicata, o delegata: tutti nella società civile sono chiamati alle loro responsabilità.
Nel discorso ai detenuti di Philadelphia Bergoglio per noi ha reso omaggio al grande Rene Girard, invitandoci a capire che quella che ci serve non è la certezza della pena, ma una giustizia ripartiva. Noi, società civile, lo abbiamo capito? Nel suo discorso all’ONU ci ha indotto a ricordarci che per Zygmunt Bauman il malgoverno della globalizzazione aiuta identitarismi violenti. Con papa Bergoglio aggiungerei perché è una globalizzazione-sfera e non-poliedro. Noi, società civile, lo abbiamo capito? O abbiamo guardato solo alle vostre città? Voi, illustri relatori, parlerete delle città religiose, delle loro malattie e delle cure che sapete suggerire. A noi lasciate dire, da laici, un grazie sincero a papa Bergoglio, il papa della Chiesa aperta nell’epoca di tante società chiuse, almeno per l’enciclica Laudato si’; lì, indirizzandosi a tutti ha saputo riconoscere che ognuno in qualche momento può aver ceduto al dominio. La città illuminista, la città liberale, non può essere meno laica di un Papa e negare di avere bisogno di uno specchio per vedere dietro dottrinarismi figli dell’io sovrano le sue malattie. Papa Francesco ha aperto a tutti le porte del giubileo della misericordia. Voi, accettando questo piccolissimo invito, per altro di ponte, ci date il modo di dire “ci siamo anche noi, nel nome del vivere insieme”.


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