Rai: dalla legge Gasparri alla legge Gasparri bis

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La bocciatura patita ieri dal governo Renzi sull’ennesima delega all’esecutivo (sul canone in questo caso) prevista dal disegno di legge sulla Rai ha fatto notizia. E meno male. Tutti i giornali e telegiornali, gli approfondimenti ne hanno parlato. Mentre prima tacevano su tutta la linea a proposito di una “riforma” Renzi che in realtà spartiva il potere della Rai fra il governo e i partiti rappresentati in Parlamento. Aggravando su un punto la stessa pessima legge Gasparri laddove imponeva al Parlamento di accettare che il mitico super-amministratore fosse scelto, non dal nuovo Consiglio di amministrazione (come avviene in ogni SpA e la Rai fino a prova contraria è una SpA) bensì dallo stesso presidente del Consiglio pro-tempore. Una misura autoritaria che non ha precedenti nella storia della Rai (semmai in quella dell’Eiar durante il ventennio) e nemmeno in quella dei Paesi europei di democrazia parlamentare. Su questo punto però la stragrande maggioranza di giornali e di Tg continua a mantenere una sorta di consegna del silenzio.

Ieri sera, a “Linea Notte”, va riconosciuto, Giovanni Valentini* ha detto su questi temi cose serie e vere affermando che il ddl Renzi era diventato, di fatto, una riedizione della legge Gasparri. Salvo questo punto strategico, decisamente peggiorativo,rappresentato dalla incredibile nomina del super-amministratore unico da parte della presidenza del Consiglio. Nel 1927, tanto per non sbagliare, Benito Mussolini infilò il fratello Arnaldo – che già presiedeva l’Albo dei giornalisti (al quale potevano iscriversi soltanto i colleghi iscritti al PNF) e il fresco Istituto di Previdenza Giornalisti sorto nel 1926 –  alla vice-presidenza dell’Ente Italiano Audizioni Radiofoniche (EIAR). In fondo il discorso del “fiduciario” diretto del capo del governo insediato alla emittente radiotelevisiva di Stato è già nella storia di Via Asiago e dintorni. Il precedente è piuttosto autoritario, ma che importa ormai?

* Nel parlare dell’abbandono disperante del Mezzogiorno Valentini è incorso, a mio avviso, in una inesattezza. La Svimez (Società per lo Sviluppo del Mezzogiorno) non fu creata da un gruppo di industriali illuminati che volevano partecipare alla rinascita del Sud. Qualcuno forse c’era, ma i promotori veri furono Pasquale Saraceno, economista cattolico, Donato Menichella, presto governatore della Banca d’Italia, Nino Novacco, il socialista Rodolfo Morandi già ministro dell’Industria e storico della grande industria in Italia.


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