Denis Verdini e noi – Riflessioni su un cambio di rotta

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Quando ci si occupa del senatore Verdini, noto amico di Renzi e principale sostenitore del Patto del Nazareno, nonché tessitore della manovra per condurre singoli esponenti del centrodestra in un nuovo gruppo parlamentare, nato col preciso scopo di puntellare e sostenere il governo, si rischia sempre di commettere degli errori.

Il più frequente è quello di far prevalere una lettura meramente giudiziaria della vicenda: Verdini, come si sa, è coinvolto in diversi processi, con accuse che in qualunque altro paese costringerebbero un uomo politico a ritirarsi, almeno momentaneamente, dalla vita pubblica; ma questo dato, per quanto possa sembrare strano, non deve interessarci. Ce ne occuperemo al momento delle sentenze, fatto salvo il principio garantista dell’innocenza fino a prova contraria ed evitando di trasformare in un martire delle procure un soggetto che non ha alcun bisogno di attestati di solidarietà.

Il secondo errore è quello di abbandonarsi ad eccessive dietrologie, vedendo ovunque trame oscure, accordi segreti, patti indicibili, manovre che neanche in “House of Cards” e spregiudicatezze d’ogni sorta: non che il personaggio trasmetta proprio un’idea di candore e di purezza ma le esagerazioni sono sempre sbagliate e, purtroppo, spesso fuorvianti.

Per dire no a Denis Verdini e all’allegra comitiva di personaggi al seguito, basta osservare cosa hanno fatto alla luce del sole in questi anni: basta vedere i governi che hanno appoggiato, le leggi che hanno votato, le idee che hanno espresso, le dichiarazioni che hanno rilasciato e, soprattutto, i soggetti cui fanno riferimento e dei quali si dichiarano apertamente amici e sostenitori, a cominciare da quel Nicola Cosentino contro il quale un tempo ci scagliavamo con durezza e per il quale votammo addirittura la richiesta d’arresto (poi respinta dalla Camera) per presunti rapporti con la camorra.

Esperienze politiche mai rinnegate, anzi rivendicate con orgoglio; esperienze che hanno condotto, nella passata legislatura e, purtroppo, anche nella presente, all’approvazione di leggi come il Lodo Alfano e a costanti tentativi di ostacolare i magistrati e imbavagliare i giornalisti, di rallentare i processi, di favorire la prescrizione a danno della celebrazione dei vari gradi di giudizio, di consentire agli imputati di difendersi, di fatto, dal processo anziché nel processo. E ancora: sono gli stessi che per anni hanno negato l’esistenza della crisi, salvo poi ritrovarsi con lo spread a 575 punti e il Paese sull’orlo della disperazione e dover andare a casa perché persino i tecnoburocrati di Bruxelles, che, come sapete, specie quando si tratta di destre liberiste, sono piuttosto indulgenti, avevano capito che una loro permanenza alla guida dell’Italia avrebbe portato all’esplosione dell’eurozona.

E vogliamo dimenticare i mitici “responsabili” made in Verdini, a cominciare dal duo Razzi-Scilipoti? Vogliamo scordarci del voto su Ruby nipote di Mubarak? Vogliamo far finta che non siano gli stessi esponenti che hanno affossato la scuola e l’università con le norme Gelmini-Tremonti (guarda caso, oggi sostengono a spada tratta i provvedimenti del duo Renzi-Giannini, in tutto e per tutto simili, se non addirittura peggiori, ai precedenti)? Davvero abbiamo bisogno di andare a consultare il casellario giudiziario di questi signori per dire che il loro ingresso in maggioranza segna la fine definitiva del PD e del centrosinistra?

Proprio per l’estremo rispetto che nutro nei confronti dei magistrati e del loro lavoro, spesso screditato, messo in discussione e sottoposto ad accuse infamanti, credo che la magistratura debba procedere in maniera del tutto autonoma e parallela rispetto alle vicende politiche, costituendo un faro di legalità e trasparenza ma senza minimamente condizionare l’azione politica che, a sua volta, dovrebbe essere autonoma, limpida e più che mai attenta alla “questione morale” sollevata da Berlinguer nell’81 e mai risolta, anzi aggravatasi, nell’ultimo trentennio.

La questione, dunque, è strettamente politica ed investe la storia, le biografie e la visione del mondo, sempre che ne abbiano una, al di là della conservazione della poltrona e della gestione del potere, dei soggetti coinvolti in quest’operazione trasformista che pone le basi, ormai è chiaro a tutti, per la nascita dell’agognato Partito della Nazione: una sorta di Partito Denis, dal quale verrà espulsa o, comunque, messa ai margini la minoranza riottosa dei Bersani e dei Cuperlo e verranno accolti con voluttà i nuovi arrivati; a meno che il Premier non decida di modificare l’Italicum, assegnando il premio alla coalizione e non più alla singola lista, così da favorire la nascita di una grande civica nazionale capitanata da Verdini che dovrebbe accogliere tutti i transfughi del centrodestra, compreso quel Casini che ha dichiarato a “la Repubblica” di non poter avere niente a che fare con un centrodestra a trazione salviniana.

Al che, ci poniamo una domanda: al netto dei comprensibili malumori e travagli interiori di quella sinistra dem cui invano, per mesi, abbiamo chiesto di prendere atto che il partito che abbiamo costruito, nel quale un tempo ci riconoscevamo pienamente, ormai non esiste più, essendosi trasformato in un minestrone conservatore assolutamente indigeribile per chi ha deciso di guardare il mondo con gli occhi dei più deboli, al netto di tutto questo, cosa possiamo fare noi per contrastare questo disegno?

Noi che siamo scesi in piazza contro censure e bavagli, noi che abbiamo riempito piazza del Popolo di bandiere tricolori e copie della Costituzione, noi che ci siamo schierati sempre dalla parte dei lavoratori e dei sindacati, degli operai di Mirafiori, degli autisti di Roma che avevano denunciato le pecche dell’azienda, degli ultimi, degli esclusi e dei tanti residenti di quelle periferie del dolore e della sofferenza in cui la politica, da troppo tempo, non mette piede, noi cittadini cosa possiamo fare in concreto?

A mio giudizio, già la presa d’atto di quanto sta avvenendo è un ottimo punto di partenza; il secondo passaggio dovrebbe essere la promozione di una nuova stagione referendaria sul modello di quella che ci vide protagonisti nella primavera del 2011, per contrastare attivamente le peggiori riforme di un esecutivo che, giorno dopo giorno, sta picconando i capisaldi della Carta del ’48; infine, l’invito che rivolgo soprattutto alla mia generazione è quello di fare politica: non importa dove, in quale partito, associazione o movimento, non importa se con gente che a me è simpatica o con personaggi che disistimo, non conta nulla, l’importante è agire, partecipare, essere presenti.

Ciò che conta davvero, in questo drammatico interludio, è recuperare quello spirito partigiano e resistenziale cui molte volte ci siamo richiamati nel corso dei cortei studenteschi; ciò che conta davvero è allargare il nostro orizzonte e sforzarci di comprendere le ragioni dell’altro anche quando non ci convincono; ciò che conta davvero è ribellarsi al pensiero unico mettendo in gioco un pensiero collettivo, un’azione diffusa, pacifica e pulita, in grado quanto meno di costituire un’alternativa alle manovre di palazzo, alle trovate verdiniane, alla finta rottamazione renzoide e ad un futuro che si prospetta tutt’altro che roseo.

Questa è la sfida e questo è il terreno su cui dobbiamo scendere, armati, ancora una volta, di una bandiera tricolore, di una copia della Costituzione e della ferma volontà di ribadire una frase molto bella dell’allora vescovo di Berlino Konrad von Preysing: “Etiam omnes, ego non” (“Se pur tutti, io no”).


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