Il muro di Dublino

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Un minuto di silenzio e cinque ore di chiacchiere. Così si è concluso il Consiglio europeo straordinario sull’immigrazione, che ha concesso più fondi a Triton, ma senza elaborare alcuna strategia strutturale, che operi sulle cause dei flussi. E’ più comodo parlare di emergenza, così l’opinione pubblica pensa che gli sbarchi siano una crisi passeggera che con una bella sorveglianza navale si possa risolvere. O al massimo, una faccenda che ricade sugli stati del sud, che dovranno tenersi tutti quelli che salvano (accordo di Dublino), così imparano a fare gli umanitari.

In questa banalizzazione della migrazione c’è il tutto lo scandaloso negazionismo europeo.
Cioè la volontà di non voler vedere, né capire, per poi proclamarsi non responsabili.  In questo senso, l’incremento di fondi per  Triton non è una buona notizia.
Perché dimostra come la UE insista nel classificare l’emigrazione come un “incidente” di sorveglianza locale (confini) e non come una criticità globale.  Che invece richiederebbe interventi specifici su tutta la “filiera” dell’esodo: dalle cause che fanno fuggire le persone, al vaglio dello status di rifugiato, al loro trasporto in sicurezza, fino alla ospitalità “attiva” che preveda un impiego lavorativo.
Insomma un “programma europeo” vero e proprio, per decongestionare nel lungo termine i flussi, ma iniziando subito ad evitare di far annegare le persone dal mare e senza abbandonarle in terra, facendone  il vivaio della criminalità o lasciandole marcire nei centri-ghetto.
Ma di tutto questo non si è parlato  nel Consiglio straordinario.
La Fortezza Europea rimane dunque rispettosamente indifferente.
E profondamente divisa, fino a quando non cadrà il muro di Dublino.

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