La gara per il Quirinale

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E’ difficile pensare che un nome per la presidenza della repubblica possa non far parte del Partito di maggioranza relativa che è oggi il Partito Democratico e dunque la gara si concentra sui quattro candidati che fanno parte della rosa di cui si parla in queste settimane e, in quanto io abbia la massima stima dei concorrenti che partecipano alla difficile lotta, chi scrive inclina a preferire la candidatura dell’ex presidente del Consiglio Romano Prodi per la statura internazionale che, senza dubbio, possiede, oltre ad aver per due volte presieduto il governo na zionale,  rispetto ad altri leader di quel Partito, al quale mi sento complessivamente vicino.

Certo, si tratta di una gara difficile perché in lizza si trovano personaggi di notevole statura personale e di ampia notorietà da Walter Veltroni che è stato il primo segretario del partito nato dall’incontro tra la Margherita e i Democratici di sinistra, di cui chi scrive ha fatto per molti anni parte, a Piero Fassino, sindaco della capitale del Piemonte in cui ho insegnato buona parte della mia vita accademica, e l’attuale ministro della Cultura  Dario Franceschini al quale mi legano comuni passioni culturali.

Ma la personalità di Romano Prodi ha tutti i numeri per superare gli ostacoli e qualche concorrente come l’ottimo Raffaele Cantone che oggi, per un’Italia spaesata e quasi rassegnata ai suoi antichi mali (come ha dimostrato l’ultima ricerca della Demos di cui ha parlato ieri Ilvo Diamanti su un quotidiano di Roma)che non fa parte della nostra politica e, di fronte a una gran parte dell’opinione pubblica democratica, rappresenta una cosa  a dir poco indispensabile come la lotta alla corruzione pubblica e privata di cui il nostro Paese continua ad essere in Europa il primatista e, ai primi posti, tra i primi  anche sul pianeta Terra.

Ci sono segnali che consentono di non essere oggi  pessimisti rispetto al nome di Prodi. Da una parte, ci sono dichiarazioni di deputati renziani della prima ora  come Michele Anzaldi che tende ad escludere che il voto segreto di centouno deputati del PD venisse dal gruppo renziano e non c’è ragione di non credergli. Dall’altra, il consigliere politico di Silvio Berlusconi  Giovanni Toti ha fatto sapere qualche giorno fa che “non c’è un veto pregiudiziale contro nessuno”.

Del resto, l’arrivo al Quirinale di  un cattolico da sempre ma, nello stesso tempo, né clericale né abituato a guerre di religione come il professore bolognese potrebbe diventare una carta importante di fronte alle battaglie tutt’altro che facili che attendono, nelle prossime settimane e ancor più nei prossimi mesi, il governo Renzi.  Non solo per l’esperienza acquisita nella lotta contro le destre populiste (tutt’altro che sconfitte in maniera definitiva nelle ultime e penultime elezioni)ma anche per la capacità in Italia e in Europa di stringere le alleanze necessarie a cambiare-almeno per alcuni aspetti-un Paese che è stato per troppi anni immobile e che ancora oggi- come dimostrano le ultime ricerche, sociali ed economiche, oltre che storiche- mostra una certa difficoltà a rimettersi in moto.


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