La Rai ha abbondonato progressivamente le inchieste giornalistiche, quelle toste

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“Scandalo”, secondo l’Oli Devoto è il turbamento morale, uno sconvolgimento grave della coscienza altrui, provocato da atti o parole comunemente associati al concetto di immoralità, di peccato, di vizio, di colpa: fare, creare, sollevare, suscitare scandaloprovare scandalo per qualcosa. E ancora essere la pietra dello scandalo, esserne causa, essere un cattivo esempio, gridare allo scandalo, indignarsi in modo eclatante e spesso sproporzionato. Ciò che dà scandalo, che suscita un turbamento morale: un simile scandalo….

Probabilmente, L’Oli Devoto dovrebbe aggiornarsi. Atti o parole comunemente associati al concetto di immoralità, di peccato, di vizio, di colpa: fare, creare, sollevare scandalo.., nel nostro paese non suscitano ormai scandalo alcuno.

 

Scandali al sole. Scandali sotto il sole d’Italia. La credibilità dell’Italia nel mondo è stata coinvolta e ingoiata in una caduta vorticosa. Una débâcle rovinosa a detta del Censis che ci dice quanto nell’ultimo quinquennio la credibilità italiana nel mondo sia andata giù, sempre più giù. Un crollo rovinoso degli investimenti stranieri nel nostro Bel Paese. Nei cinque anni, dal 2007 al 2013, il calo è stato drammatico: meno 58%. Sotto l’onda di una sequela di nefandezze e scorribande maledettamente imperterrite;  una sequela infinita, senza soluzione di sosta.

In questi anni italiani, che si prolungano da decenni, le infamie assassine, le scorribande criminali sull’ambiente, le angherie morali, finanziarie, mafiose, corruttive e qualsiasi genere di reati d’immensa ignominia, nel loro insieme di una vergogna schifosa, sono stati sgamati, per quel che ha potuto, dalla magistratura. Spesso additata, come una categoria inaffidabile o di parte. Il partito dei giudici, le toghe rosse. E gli altri chiamati a controllare? Spesso, controllori e controllati a braccetto a dividersi la manna-cuccagna.

Il Bel Paese pare sempre più rassegnato alle legge del fato,  il destino irrevocabile fissato fin dal principio e a cui nessuno si può sottrarre. 

Per la collettività lo scandalo ormai non è più uno scandalo, seppur si sia impresso come un cancro sulla bandiera italiana. Sì un cancro, ormai vissuto dalla collettività come una malattia cui rassegnarsi. Si sa, è così. È la regola nel nostro paese. Fan tutti così e son tutti uguali così. Unendo nel calderone, del son tutti uguali e son tutti  così, politici, amministratori, sindacati, pubblici funzionari, finanzieri, partiti e chi ne ha più ne metta.  Mettendo nel calderone spesso anche i giornalisti. Spesso anche la Rai. Già, la Rai. A Rai ha fatto tremare i polsi l’imposizione del Governo di mettere sul banco comune 150 milioni di euro (oltre 290 miliardi delle vecchie lire, non scordiamolo).  Contributo dovuto, pizzo o penale? Ognuno ha dato la propria versione. Ma tale questione è l’occasione per riflettere allargando lo sguardo, su aspetti diversi. Rai, progressivamente (a parte qualche isole o  nuvole bianche, come  Report) ha abbondonato progressivamente le inchieste giornalistiche, quelle toste.

Un lontano ricordo le inchieste di Biagi, Zavoli, Bocca, Bettiza, Montanelli, Giò Marrazzo, ma soprattutto un lontano ricordo i giornalisti di grande autorevolezza nei quali la collettività italiana riponeva la propria fiducia.

Oggi? Ognuno la pensi come meglio crede.

In America, il giornalismo è un cane da guardia del potere. Essendo  Rai la realtà che mi sta particolarmente a cuore, mi chiedo: e il giornalismo della televisione italiana di oggi? Che razza di cane è? Da guardia? Se non lo è, lo diventi. Diventi il cane da guardia a tutela della democrazia, di un paese finalmente civile. Mantenendo il fiato sul collo, costantemente, nelle reti maggiori e negli orari di maggior visibilità, sulle storie ambigue, oblique, contorte. L’informazione, in generale italiana, si butta sul fatto a fatto compiuto, nella sequenza eclatante dell’ultimo istante. A crimine compiuto. A misfatto avvenuto. Se l’informazione italiana e mi riferisco in particolare a quella di Rai, avesse tenuto il fiato sul collo, a difesa della legalità, sulle storie alquanto dubbie e confuse probabilmente alcune nefandezze avrebbero trovato ostacoli seri nel continuare ad agire indisturbate, prosperando indisturbate nel profondo silenzio. Ora, dopo Expo è la volta del Mose. Ma in questi anni chi ha dato voce ai veneziani, ai tanti veneziani, a caso penso ai tanti e vari veneziani Giannandrea Mencini, Paolo Cacciari, Eddy Salzano, Gherardo Ortalli, Gianfranco Bettin, che insieme ad una miriade di cittadini riuniti in associazioni o a titolo personale sono impegnati da tempo nel voler capire e vedere quanto avveniva alle costole del Mose?

Ad occuparsi di Venezia per Rai, in modo serio e deflagrante, fu Indro Montanelli con l’inchiesta televisiva del 1969, Montanelli Venezia. Poi Venezia successivamente sarebbe stata raccontata in occasione dei carnevali, maree alte, passerelle sul red carpet di divi e divetti al festival del cinema, del santo Redentore, di vogalonghe, oppure ancora attraverso gli stereotipi della più bella città del mondo, pur nei fatti qual è. Ma rappresentazioni lontane e distanti alla tutela di quel che i secoli hanno forgiato, consegnando al mondo una sublime bellezza. Lontane e distanti dalla tutela di cittadini di ogni condizione ed età.

Un’azione continua di un’informazione quale cane da guardia avrebbe contribuito a porre almeno un po’ di resistenza al dissesto ambientale compiuto da menti scellerate? Avrebbe contribuito a salvare qualcuno dalle spire dell’amianto, dell’eternit, avrebbe contribuito ad arginare mafie, andranghete o camorre? Avrebbe contribuito a non far sparire dalle tasche degli italiani, somme di danaro immense intascate e rubate da individui loschi, dai colletti bianchi, dalle facce piene di cerone a coprire l’immondezza interiore? Probabilmente. Ma senz’altro un’azione continua di un’informazione quale cane da guardia da parte di Rai avrebbe contribuito a far percepire da parte della collettività del nostro paese, la medesima Rai come una realtà con la quale identificarsi. Enzo Biagi già negli anni ’90 denunciò la progressiva carenza di interesse dei nostri mezzi di comunicazione verso la nostra popolazione nelle sue espressioni più autentiche:

“Non c’è più un’inchiesta sui nostri giornali e tv. Non raccontiamo più l’Italia, non è più il tempo dei Piovene e dei Barzini e di tutti quei giornalisti che andavano a scoprire storie nuove. Io non so più cosa succede a Reggio Calabria o a Bolzano, o cosa pensano davvero gli italiani: lo devo giudicare solamente da come votano. Ma cosa c’è nel cuore della nostra gente? 


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