Giornalismo sotto attacco in Italia

Il mondo tra TERRORISTI e terroristi

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L’annuncio di Obama sull’Iraq rende evidente che per il mondo ci sono “TERRORISTI” e “terroristi”. Ed è molto interessante capire perché.
di Riccardo CristianoRiluttante davanti all’intervento in Siria, riluttante davanti all’intervento in Iraq. Ma se la prima riluttanza si è tradotta sotto una pressione globale in un non intervento, nel caso dell’Iraq appare evidente che la riluttanza si sta traducendo sotto la pressione di strateghi e opinioni pubbliche in azioni imminenti e mirate. Contro i terroristi dell’ISIS.

Che siano terroristi appare evidente a tutti, ma quel che appare altrettanto evidente è che sono terroristi anche Assad, Hezbollah, i pasdaran e le milizie irachene che da tre anni devastano la Siria. E allora perché tre anni di orrori non sono valsi un intervento neanche mirato, mentre in Iraq tutto si prepara senza eccezione alcuna? La risposta è semplice: perché il comune sentire riconosce che l’ISIS è un’organizzazione terroristica, mentre un’accurata campagna stampa globale ha convinto il mondo che Hezbollah, Assad e pasdaran no, non sono terroristi.

L’orrore di una politica genocida spacciata per “polizia anti-terorrismo”, con barili-bomba, prove inconfutabili di torture sistematiche, di pulizia etnica, di bombe al cloro, di uso di gas sarin, assedi medievali, avrà delle enormi conseguenze, epocali. Ma il fatto resta; il comune sentire è stato condizionato da una cabina regia globale che ha saputo convincere che una politica genocida non è terrorismo.

Ora Obama con l’assenso del mondo si accinge a azioni mirate in Iraq. In sé non appare un errore, vista l’odiosa intollerabilità della natura qaidista-saddamista dell’ISIS. L’interrogativo, visto lo scandaloso silenzio triennale siriano, è d’obbligo però: perché? Se si è potuto accettare un genocida…

Teoricamente i motivi dell’intervento in Iraq possono essere due, come rivela con rigore e acutezza il professor Courban: la Casa Bianca intende aiutare l’Iran a divenire la potenza di riferimento regionale: la Casa Bianca intende salvare la casa regnante Saudita, che ha nell’ISIS e in al Qaida il suo peggior nemico “casalingo”, la più seria insidia al suo rimanere al potere. In entrambi i casi è chiaro che i confini regionali sono ormai in discussione.

Entrambe le opzioni appaiono plausibili, sebbene il clamoroso silenzio sul caso siriano induca istintivamente a ritenere il primo scenario più verosimile. Il problema però è un altro.

Oramai siamo all’eclissi totale dei valori, e dopo quel che è accaduto in Siria ogni capovolgimento della realtà agli occhi delle opinioni pubbliche mondiali appare possibile. Questa è la sconfitta vera che abbiamo patito nel caso siriano. Una sconfitta destinata a pesare come un macigno sul futuro di tutti e sul giudizio che la storia, prima o poi, darà della presidenza Obama, avendone il tempo. A prescindere da quale sia l’intenzione per cui il presidente americano si accinge a intervenire in Iraq. Sebbene riluttante…


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