Evasione, corruzione, conflitto d’interesse: il freno a mano sulla nostra economia

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Si fa un gran dire, in tempi di crisi, che “i soldi non ci sono”. Ma non si dice quanti ce ne siano laddove non si è ancora andati a prenderli. Queste elezioni europee sono l’occasione per proporre un cambiamento radicale delle disastrose politiche economiche e sociali di questi anni, recessive sulla recessione, ma al contempo non dobbiamo dimenticare che ci sono alcuni nodi che nel nostro paese non abbiamo mai risolto. Evasione fiscale, corruzione e conflitto di interessi costituiscono un freno enorme alla nostra economia.
Sull’evasione basti pensare che nella vicina Svizzera si stimano 150 MLD di euro di depositi italiani su cui non è stato versato il dovuto. Qualche giorno fa la Svizzera ha finalmente firmato la convenzione OCSE che prevede il passaggio dal segreto bancario allo scambio automatico di informazioni. Si tratta di una svolta epocale, ed anche questo vuol dire essere Europa: ottenere ciò che i singoli paesi non avevano mai avuto la forza di ottenere.

Secondo le stime, pur oggetto di dibattito, il costo della corruzione nell’Unione Europea ammonta a circa 120 miliardi l’anno, pari quasi al bilancio annuale dell’Unione. La Commissione ha presentato all’inizio di quest’anno il suo primo rapporto sul fenomeno, che al pari dell’evasione non è solo fenomeno italiano, bensì europeo. Nel nostro continente non esiste alcuna zona libera dalla corruzione; secondo l’Eurobarometro per più della metà degli europei il livello di corruzione nel proprio paese negli ultimi tre anni è aumentato, un europeo su 12 nell’ultimo anno ha sperimentato o è stato testimone di episodi di corruzione e 4 aziende su 10 la considerano un ostacolo alla propria attività. Il Commissario UE agli affari interni, presentando il rapporto, ha bene inquadrato non solo la portata, ma anche le conseguenze del fenomeno: la corruzione mina la fiducia dei cittadini nelle istituzioni democratiche, danneggia l’economia e priva gli stati di un gettito importante.

Lo scenario italiano è particolarmente inquietante: evasione e corruzione, oltre ad allontanare investitori esteri impongono al nostro paese una tassa occulta pari a 180 miliardi di euro. Ipotizzando un recupero totale, cancelleremmo l’intero debito pubblico italiano nel giro di dieci anni. Riferendosi all’Italia, l’UE incoraggia ad adoperarsi ulteriormente per contrastare, in particolare, l’annosa questione dei conflitti di interesse, che nel nostro paese sono dilaganti. L’ultima legge italiana in merito, la legge Frattini, risale al 2004. Nonostante essa sia stata definita senza mezzi termini “inadeguata” dalla Commissione di Venezia, organo del Consiglio d’Europa (parere n. 309/2004), la questione sembra quasi sparita dal dibattito politico. Credo invece che vista la disaffezione nei confronti della politica, se vogliamo cercare di recuperare il rapporto di fiducia tra elettori ed eletti, una nuova legge sul conflitto di interessi sia urgente e necessaria. Ne va della qualità della nostra democrazia.

Le normative di alcuni altri Stati membri dell’UE possono essere un esempio di best practices per migliorare la nostra legislazione, anche nella lotta al conflitto di interessi. In Francia, ad esempio, gli incarichi di Governo sono incompatibili con qualsiasi attività professionale, sia privata che pubblica. Inoltre, la presentazione delle dichiarazioni patrimoniali dei membri del Governo è richiesta non solo entro due mesi dalla nomina, ma deve essere resa anche nei due mesi successivi alla cessazione dell’incarico: ciò consente una verifica di eventuali variazioni significative dei patrimoni da parte di una Commissione apposita. Quest’organo presenta rapporti sulle variazioni patrimoniali dei membri dell’esecutivo e dei parlamentari con scadenze regolari e, in caso di variazioni sospette, l’interessato viene ascoltato e il caso può essere trasmesso alla procura. L’obbligo di presentare le dichiarazioni anche al termine del mandato vi è anche in Spagna, ove il Governo Zapatero ha introdotto il “codice del buon governo” riformando la disciplina finalizzata a prevenire i conflitti di interesse per i membri del Governo e le più alte cariche dello stato. In Germania, cancellieri e ministri non possono svolgere altre professioni o appartenere, senza l’approvazione del Bundestag, al consiglio di amministrazione di imprese istituite a scopo di lucro. I membri del parlamento sono anche obbligati a notificare reddito, condizioni lavorative ed eventuali incarichi societari al Presidente del Bundestag, pubblicati sul sito della camera. Ma sono soprattutto gli Stati Uniti, con la disciplina più ampia e pervasiva in materia, l’esempio da seguire.

A questo modello si rifà, infatti, la proposta presentata alla Camera lo scorso novembre da Giuseppe Civati con i deputati PD Mattiello, Tentori, Guerini, Gandolfi e Pastorino: “Norme in materia di prevenzione dei conflitti d’interessi dei parlamentari e dei titolari di cariche di Governo”. Essa rompe finalmente un tabù durato vent’anni. Il principio cardine del testo è la logica preventiva graduata secondo gli strumenti propri anche della legislazione statunitense (fino al blind trust e all’obbligo di alienazione, nei casi più gravi), prevedendo l’intervento di un’Autorità competente e criticando l’impostazione che vede solamente nell’astensione e poi, eventualmente nell’intervento sanzionatorio (peraltro del tutto inadeguato) la garanzia che l’azione pubblica sia esercitata veramente ed esclusivamente nell’interesse generale. La proposta di legge si può trovare qui: http://www.camera.it/_dati/leg17/lavori/stampati/pdf/17PDL0014340.pdf 

Solo negli ultimissimi giorni la Commissione affari costituzionali ha avviato la discussione, sulla quale vigileremo attentamente.

Elly Schlein, Candidata PD al Parlamento Europeo, circoscrizione Nord-Est


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