Oltre il recinto. Caffè del 26 aprile

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Ieri ho sentito Enrico Mentana scusarsi per aver posto in alto nel suo telegiornale, ma sempre dopo il fuori onda che rivelava la convocazione al colle di Matteo Renzi, la notizia del sequestro di tredici osservatori OSCE da parte dei filo russi e dell’abbattimento di un elicottero ucraino. La guerra è una notizia, ma se poi non scoppia, che notizia è? Coraggio Enrico, oggi anche Repubblica apre: “Ucraina, è battaglia. Kiev: Putin vuole una guerra mondiale”.

Non è facile capire cosa stia accadendo sul campo. Le truppe ucraine, con i loro carri armati, stanno circondando la città ucraina, ma con popolazione russa, di Sloviansk. Là dentro, dicono gli Ucraini, Putin avrebbe installato consiglieri e truppe speciali, e proprio per non farli scoprire i filo russi avrebbero sequestrato gli osservatori internazionali. Mosca considera l’assedio un atto di guerra e mostra aerei sul cielo di Sloviansk.  Il governo Ucraino si appella agli Stati Uniti. Obama insiste con le sanzioni, che per ora non mordono ma – dice –  morderanno. L’Europa è incerta. Una polveriera.

Da tempo scrivo che sia finita la seconda lunga pace. La prima durò dal 1870 al 1914. Quella attuale, dal 1945 al 1989, si è basata sull’equilibrio della guerra fredda. La guerra non scomparve mai del tutto, ma veniva combattuta ai margini, lontano dagli Stati Uniti e non troppo vicino all’Europa. Prima in Corea, poi in Viet Nam, con esplosioni ricorrenti in Medio Oriente, e l’uso dei colpi di stato e delle spedizioni punitive per marcare, ognuno, il proprio territorio: Ungheria, Indonesia, Cecoslovacchia, Cile. Dopo il crollo del muro di Berlino e la dissoluzione dell’Unione Sovietica, all’equilibrio del terrore si è sostituito l’ordine della Cosiddetta Comunità Internazionale, sorretta dalla globalizzazione dell’economia e dell’informazione, e garantita dalla forza militare dell’unica potenza militare rimasta. Abbiamo avuto altre guerre, in Iraq, Afganistan, Serbia, contro Stati accusati, non sempre a ragione, di rappresentare una minaccia o di usare il terrorismo.

Ma il quadro ha retto. Fino a quando la crescita economica della Cina, dell’India, del Brasile, e in Europa della Germania, combinata con l’esplosione della grande bolla finanziaria nel 2008, non ha fatto apparire all’opinione pubblica americana troppo pesante, poco redditizio e moralmente scomodo, il ruolo di gendarme mondiale. Ecco che un uomo, dalla pelle scura e che di nome faceva  Mohamed, è stato chiamato a interpretare il ruolo del curatore fallimentare della super potenza. Obama ha fatto un gran lavoro: ha cercato di pagare i debiti uno per volta, di traghettare la “comunità internazionale” verso un equilibrio multi polare e di rivitalizzare l’ONU. Purtroppo è rimasto sommerso dai detriti della vecchia politica di potenza. Gli è mancata una spalla europea, in Medio Oriente non ha saputo liberarsi di padrini bellicosi come Israele e Arabia Saudita, ha dovuto rigonfiare la bolla speculativa per non punire i consumi e non sfidare un nemico forse più pericolo di Al Quaeda, il capitale finanziario, che vola più veloce dell’informazione alla ricerca di rendimenti e interessi.

Ora l’ordine non tiene. Torna la questione russa. Può diventare guerra aperta il conflitto tra sciiti e sunniti. E il vincitore minaccerebbe Israele. Sta tornando il nazionalismo giapponese se ne affaccia uno indiano. L’Europa è spaccata in due metà. Un nord che produce, si finanzia con interessi sugli altrui debiti, può consentirsi uno stato sociale. Un sud che paga con gli interessi, è tentato dalla deregulation e minacciato persino dall’’OPA del capitale criminale.

Intanto il consumo del suolo è allarmante, il 60 per cento delle acque cinesi sono inquinate, il sogno della crescita gonfia le megalopoli, la rottura accelerata dei recinti e la libera circolazione delle informazioni cambiano l’idea che l’uomo si fa della natura e dunque di sé. Tutte trasformazioni potenzialmente esplosive. Sarà guerra, scoppiata quasi per caso, come 100 anni fa? Non guardo nel futuro e non amo i catastrofisti. Però un equilibrio s’è rotto e ci vorrà fantasia per costruirne uno nuovo. Certo, un’Europa dei diritti, della tolleranza e dello stato sociale, potrebbe irradiare pace sul mondo intero. Attrarre e conquistare con la sua cultura quei 500 milioni di ricchi che, dai paesi emergenti, verrebbero a visitarla. Rappresentare un limite per gli Stati Uniti e al tempo stesso esserne la spalla. Porre le questioni centrali dello sviluppo sostenibile e del rapporto cultura natura. Nel mondo di Asimov, l’Europa sarebbe la Fondazione.

Ma serve coraggio, la capacità di guardare oltre il recinto delle crisi contingenti e degli interessi regionali. Un coraggio  temerario. Come quello di Papa Bergoglio, che ieri si è distratto dalla santificazione di Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II, per dedicare 20 minuti a Marco Pannella. La Chiesa celebra se stessa e i suoi Papi. Ma intanto la vita scorre, in quei luoghi sub umani che chiamiamo carcere, e deve continuare a scorrere anche nelle vene di un vecchio ribelle, reo di aver portato in Italia divorzio e aborto.

Da corradinomineo.it


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