Rai: pubblica o privata?

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Il dibattito sulla gestione dei mezzi d’informazione è sempre molto attuale data l’importanza del ruolo della comunicazione nel mondo. Sicuramente internet ha rivoluzionato il modo d’informarsi, ma bisogna considerare che ancora oggi in Italia la maggior parte della popolazione s’informa tramite la televisione.  Per garantire un’informazione libera e trasparente, che sia svincolata da interessi particolari e rispetti quei diritti sanciti dalla Costituzione, è necessario che le reti televisive svolgano in parte, se non del tutto, un servizio pubblico.

In Italia è la RAI che dovrebbe per prima offrire ai cittadini un servizio informativo  nell’interesse di tutti  (dato peraltro che una delle fonti di reddito della RAI è il canone); purtroppo però l’emittente pubblica non sembra svolgere il suo ruolo in modo corretto… Ciò non vuol dire che la soluzione sia la privatizzazione, che invece andrebbe a negare quei principi democratici che un servizio pubblico dovrebbe assicurare. La RAI ha bisogno di essere riformata e di diventare più democratica. Nel 2016, quando si ridiscuterà il destino di questa rete, si presenterà l’occasione per farlo.

Oggetto di critica è sicuramente il pagamento del canone. “No taxation without rappresentation” gridavano gli americani verso la fine del’700. Il principio è semplice: chi paga una tassa ha il diritto di sapere come vengono utilizzati i suoi soldi ed ha il diritto di venire rappresentato in quanto cittadino e contributore concreto per la vita di un organo di rappresentanza. Così dovrebbe fare la RAI: rappresentare chi la finanzia. Ciò non vuol dire che la televisione debba dire quello che i cittadini vogliono sentirsi dire nell’ambito dell’informazione e intrattenere utilizzano i modelli che più vanno di moda. La rete pubblica deve garantire la pluralità, e per fare questo deve informare cercando di distinguere i fatti dalle opinioni espresse da chi informa.

Bisogna intrattenere promuovendo modelli diversi che ogni volta si rinnovino secondo il “respiro” culturale. Sarebbe opportuno evitare di subordinare la qualità dei programmi all’audience, agli interessi particolari o alla raccolta pubblicitaria. Invece di promuovere il disimpegno e ridere di ciò che è ridicolo, occorre focalizzarsi di più sul messaggio che può dare un programma e il ruolo che assume nel contesto odierno. La RAI dovrebbe tornare al ruolo iniziale per cui è nata: educare, fornirci quegli strumenti che ci aiutino a differenziarci e non a omologarci; a sviluppare un senso critico quando si analizzano le questioni. C’è il bisogno di raccontare la realtà partendo dal presupposto che non esiste una sola ragione o una sola verità, ma ogni cosa che accade, ha le sue sfaccettature da tener tutte sempre presenti per capire un fenomeno.

Certamente una legge sul conflitto d’interessi potrebbe dare un gran contributo alla democratizzazione del servizio pubblico televisivo. Per far ciò, è necessario rimuovere certe influenze che la politica, l’imprenditoria, hanno sull’emittente pubblica; ed è fondamentale che i cittadini siano i primi promotori della rete pubblica e che acquisiscano la piena consapevolezza che la RAI è uno strumento fondamentale per la tutela dei propri diritti.  

*Studentessa liceo Mamiani, Roma


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