Ciò che non ha capito Matteo Renzi

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Che il ruolo di segretario non si addicesse a una personalità come la sua, Renzi oggettivamente l’ha sempre detto. Poi, però, quest’estate dev’essersi fatto due conti e, una volta resosi conto del pericolo di rimanere confinato a Firenze, e dunque lontano dalla scena nazionale cui tanto anela, ha gettato il cuore oltre l’ostacolo e ha deciso di candidarsi, ben sapendo che, dopo la tragedia dei centouno e la riedizione delle larghe intese, nemmeno un candidato colto, competente e di straordinario spessore politico come Cuperlo avrebbe potuto nulla contro la sua irresistibile ascesa.

Il guaio è che la vita può levigare il carattere e l’esperienza può smussarne le asperità, ma nessun evento è in grado di “cambiargli verso” in maniera radicale; e così, una volta vinte le Primarie, era ovvio che Renzi tornasse a fare il Renzi a tempo pieno, preoccupandosi assai più della sua affermazione come leader che delle dinamiche interne ad un partito dilaniato da mille contrasti e più che mai bisognoso di un segretario che se ne occupi a tempo pieno, senza altre mire e senza alcuna intenzione di sfidare quotidianamente un Letta il cui governo vive oramai sul filo del rasoio.

A tal proposito, sbaglia chi asserisce che il sindaco di Firenze sia interessato ad un ritorno anticipato alle urne: in cuor suo, probabilmente, vorrebbe pure ma sa benissimo che, in caso di voto a maggio, le sue ambizioni correrebbero il rischio di scontrarsi con la legge elettorale lasciata in eredità dalla sentenza della Consulta, ossia un proporzionale puro che, a nostro giudizio, era e resta il miglior sistema possibile, oltre che il più democratico e rispettoso dei princìpi costituzionali, ma che per Renzi equivarrebbe alla dissoluzione delle sue speranze di arrivare a Palazzo Chigi. E sbaglia anche, e di grosso, chi sospetta che il segretario del PD sia pronto a subentrare a Letta alla guida di questo difficilissimo esecutivo di larghe intese: semplicemente non è adatto.

Chi lo conosce, infatti, sa che Renzi è un uomo da copertina, da talk show, sempre con la battuta pronta, ma non è affatto un mediatore, è l’opposto di Letta e mai potrebbe andare d’accordo, o anche solo convivere, con forze politiche avversarie che, giustamente, rivendicano i propri spazi e il proprio diritto di dire la loro e far approvare una parte del programma con cui nel febbraio scorso si erano presentate agli elettori.

Senza contare che, come hanno dimostrato le Primarie dello scorso 8 dicembre, per esistere Renzi ha bisogno dell’epopea del voto, di una sorta di mistica del consenso, e che mai, per orgoglio e per la mostruosa fiducia in sé che lo caratterizza, potrebbe abbassarsi ad accettare di arrivare al governo senza l’investitura degli elettori. Sarebbe una mossa alla D’Alema, ma Renzi è troppo scaltro per non sapere che i quasi due milioni di cittadini che lo hanno votato lo hanno fatto, soprattutto, perché egli si è posto come l’antitesi dell’ultimo ventennio della sinistra italiana: se smentisse se stesso, qualunque sua ambizione evaporerebbe nel giro di un quarto d’ora.

Il punto, pertanto, è un altro: capire cosa voglia di preciso questo personaggio così atipico per la sinistra e, in generale, per la politica italiana. Alcuni ipotizzano che sia interessato a un rimpasto di governo: qualche ministro, Delrio agli Interni o alla Giustizia, qualche vice-ministro, qualche sottosegretario e tutti gli attacchi a Letta svanirebbero in un istante. Ma Renzi ha subito smentito con stizza: non sia mai, queste sono logiche da democristiano di lungo corso, roba da Prima Repubblica! Allora, qualcun altro ha ipotizzato, per l’appunto, che voglia prendere fin da subito il posto di Letta, ma come abbiamo ampiamente spiegato è un’ipotesi da escludere radicalmente. A nostro giudizio, la verità è che Renzi non sa nemmeno lui cosa voglia di preciso, perché le sue innegabili e, se vogliamo, legittime ambizioni sono costrette a fare i conti da una parte con la ferma contrarietà di Napolitano ad ogni ipotesi di voto anticipato (al punto che ha minacciato più volte di dimettersi, gettando l’intero sistema politico nel caos più totale) e dall’altra con il dramma di un Paese le cui condizioni economiche e la cui delicatissima posizione internazionale tutto consentono fuorché di imbarcarsi in nuove avventure elettorali che saranno pure molto affascinanti ma genererebbero quell’instabilità che potrebbe vanificare anni di sforzi e sacrifici.

E quindi attacca, cerca di fare notizia, mostra i muscoli, costringe alle dimissioni i suoi avversari più irriducibili e fa vedere alla Direzione del suo partito di avere il pugno di ferro, di avere un consenso popolare tale da non doversi affidare alla vecchia liturgia della mediazione e del confronto e di poter proseguire spedito come un treno lungo le direttrici tracciate in questi mesi insieme ai suoi fedelissimi.

Peccato che, così facendo, data anche la giovane età e, ci perdoni per la malignità, l’inesperienza, il sindaco di Firenze stia incappando in una serie di errori notevoli, le cui conseguenze potrebbero esse sì mettere a repentaglio le sue ambizioni di leadership nazionale.

Perché è vero che sia Cuperlo sia Fassina sia tutti gli altri esponenti della minoranza interna hanno più volte smentito ogni ipotesi di scissione; tuttavia, è altrettanto vero che sono inferociti, che la loro disponibilità a collaborare lealmente è stata eccessivamente mortificata per non aver subito oramai delle ammaccature e che Renzi non sta facendo nulla per venire incontro al loro malessere. Al contrario, non perde occasione per ricordare loro i fallimenti, le sconfitte e gli errori degli ultimi vent’anni e per utilizzare come una clava il significativo consenso ottenuto alle già ricordate Primarie.

Senza contare la rabbia di Vendola, palesemente scaricato dal segretario democratico e addirittura condannato, da una proposta di riforma della legge elettorale più che mai iniqua, alla scomparsa dal Parlamento; il che ha giustamente indotto il segretario di SEL a ricordare a Renzi che il suo sarà pure un piccolo partito ma che alle ultime elezioni è stato decisivo per consentire al centrosinistra di aggiudicarsi il premio di maggioranza alla Camera.

E qui veniamo all’errore più grave, allo sbaglio che potrebbe costare a Renzi una rapida discesa al termine di un’impetuosa e non certo inosservata ascesa.

Il “Pastrocchium”, per utilizzare un’espressione coniata ad hoc dal professor Sartori, è difatti né più e né meno che il figlio legittimo del Porcellum: senza preferenze, con un premio di maggioranza spropositato, liste piccole ma comunque bloccate e, per di più, soglie di sbarramento letali per i piccoli partiti, nel vano tentativo di creare un sistema bipolare, o addirittura bipartitico, che in Italia semplicemente non esisterà mai.

Ma perché Renzi sta commettendo questo gravissimo errore? Per via dell’eccessiva ambizione? Forse, ma non solo. Il vero nemico di Renzi è la sua disperata fretta di realizzare i propri intenti, afflitto com’è dal terrore di veder svanire le attese messianiche e queste sì veramente eccessive che si sono create intorno alla sua figura. E allora è pronto a tutto: ad attaccare pubblicamente Letta come se il PD fosse all’opposizione, a peggiorare ulteriormente i rapporti con Alfano, a far arrabbiare persino Scelta Civica e, soprattutto, a venire a patti con un condannato per frode fiscale, per giunta nella sede del PD, facendo fuggire via quei pochi voti grillini che finora era riuscito a recuperare. Il tutto per l’ansia di arrivare, di fare presto, di mostrarsi efficiente, di non farsi avviluppare nelle pastoie romane, dimenticandosi dell’antico insegnamento secondo cui la fretta è nemica di qualunque attività umana, figuriamoci della buona politica e delle riforme epocali.

Perché la strategia berlusconiana è chiara e, se permettete, diabolica: tendere a Renzi la trappola definitiva, quella che rischia di stroncare per sempre ogni sua aspirazione.

Lo schema è evidente: elogiarlo a più non posso, inviare i forzisti più accaniti a evidenziare tutte le somiglianze fra lui e il Cavaliere e arrivare a coniare addirittura la definizione di una nuova categoria dell’antropologia politica, ossia i “renzianamente berlusconiani” (l’espressione appartiene a Francesco Paolo Sisto, già avvocato di Raffaele Fitto e, guarda caso, presidente della commissione Affari costituzionali della Camera). Il tutto con lo scopo implicito di dividere il PD, far indignare l’ala sinistra e, se possibile, provocare pure quella scissione che Cuperlo ha prontamente smentito; ma, soprattutto, questi finti elogi servono a fiaccare Letta, a indebolire il governo e a ricondurre a Canossa Alfano, costretto dal Pastrocchium renzian-berlusconiano ad allearsi nuovamente con il suo ex mentore pur di sopravvivere.

Al che, temiamo che vada a finire così: SEL, ovviamente, non vorrà saperne di allearsi con un partito che ha avallato una legge che, di fatto, sancisce la sua morte politica e, probabilmente, proverà a costruire un’alleanza a sinistra con quel che resta della Rivoluzione civile di Ingroia; Alfano tornerà fra le braccia di Berlusconi, non importa se Silvio o Marina; la Lega, beneficiata magari da una norma ad partitum per quanto riguarda la soglia di sbarramento, pure; le formazioni minori del centrodestra (AN e Fratelli d’Italia) concorderanno col Cavaliere qualche posto sicuro nelle liste e i centristi costituiranno una sorta di PPE italiano che al primo turno si conterà e al secondo si apparenterà coerentemente col centrodestra, in cambio di qualche posto al governo e qualche altro piccolo riconoscimento. E Grillo? Grillo, naturalmente, urlerà in tute le piazze d’Italia, parlando apertamente di inciucio, leggi liberticide, attacchi alla democrazia e simili e porterà via al PD i residui voti di sinistra che gli saranno rimasti. E il PD, semplicemente, andrà in frantumi: sconfitto, incapace di definire una strategia politica chiara e di presentare un programma concreto e convincente; e rimarrà all’opposizione per almeno un decennio, anche se a quel punto una scissione a sinistra e, forse, una anche al centro sarebbero quasi inevitabili.

L’Italia, infine, colerebbe definitivamente a picco, bruciando i sogni e i destini di almeno tre generazioni.

Caro Renzi, perché non torni sui tuoi passi, non interrompi le trattative con un noto pregiudicato e non ti siedi al tavolo a discutere con personaggi più affidabili e, probabilmente, meno disinteressati alle sorti della collettività?


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