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Hanno ammazzato il Porcellum, il Porcellum è vivo

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di Adriano Gizzi

Ora che il Porcellum è stato finalmente dichiarato incostituzionale dalla Consulta, nelle parti che prevedono le liste «bloccate» senza preferenze e un premio di maggioranza senza soglia minima di voti, tutti si mostrano molto soddisfatti. Festeggiano anche quelli che esattamente otto anni fa, nel dicembre 2005, avevano votato questa legge elettorale (tutti i partiti del centro-destra di allora, Udc compreso), ma persino il suo ideatore, il leghista Calderoli, che l’aveva definita «una porcata». Paradossi e giravolte della politica italiana, niente di nuovo.

Il problema è che tutti, almeno a parole, sono contrari a questa legge, ma non trovano un accordo su come superarla. C’è chi insiste da tempo sulla soluzione più semplice e rapida: un ritorno alla legge elettorale precedente (il cosiddetto Mattarellum), per tre quarti uninominale secca «all’inglese» e per un quarto proporzionale, con cui avevamo votato nel 1994, nel 1996 e nel 2001. Fino a poco fa, le ragioni per sostenere questa ipotesi erano legate soprattutto ai tempi: se aspettiamo che tutte le forze politiche trovino un accordo su una legge elettorale nuova di zecca, voteremo con il Porcellum almeno per i prossimi vent’anni. E infatti il governo Letta, proprio perché vuole durare il più possibile (o «tirare a campare», seguendo la filosofia andreottiana secondo cui «è sempre meglio tirare a campare che tirare le cuoia»), ha escogitato il solito trucchetto per guadagnare tempo e arrivare almeno al 2015: perché non facciamo una bella riforma istituzionale complessiva? Come al solito, il meglio è nemico del bene (si veda, a questo proposito, «Meglio ingovernabili o mal rappresentati?») e per fare una legge migliore dopodomani si rinuncia a uscire immediatamente dal tunnel del Porcellum.

Ma con la bocciatura da parte della Corte costituzionale c’è oggi un motivo in più per fare in fretta (e quindi scegliere una soluzione minima ma rapida per poi andare a votare al più presto) ed è dovuto al fatto che dopo questa sentenza si sta scatenando di tutto: c’è persino chi arriva a sostenere che l’incostituzionalità della legge elettorale implicherebbe automaticamente l’illegittimità di questo Parlamento eletto a febbraio scorso e quindi, di conseguenza, del presidente della Repubblica e del governo… un effetto valanga che ovviamente la Consulta non potrebbe in nessun caso accettare. E infatti c’è chi ipotizza che l’incostituzionalità possa in qualche modo «decorrere» dalla fine di questa legislatura. Anche questo, però, sarebbe alquanto bizzarro: tutti sappiamo che la legge è anticostituzionale, ma per altri quattro anni facciamo finta che non lo sia. In questo gioco dell’incostituzionalità «contagiosa», proprio Calderoli è arrivato a sostenere che quindi anche la stessa Corte costituzionale sarebbe illegittima, perché nominata in parte da presidenti della Repubblica e parlamenti illegittimi in quanto eletti con quel sistema elettorale. Quindi si potrebbe aggiungere che, se la Consulta è illegittima, allora anche questo pronunciamento di incostituzionalità non è valido. E si ritornerebbe al punto di partenza, come il famoso cane che si morde la coda. Tutti illegittimi, cioè nessuno illegittimo.

In ogni caso il buon senso suggerirebbe di fare presto, votando subito una legge che permetta di non farci trovare impreparati nel momento in cui si dovesse andare a elezioni anticipate. Starà poi al nuovo Parlamento, quando sarà, votare eventualmente una nuova legge più elaborata. Anche se pare – ma le motivazioni della sentenza ce lo chiariranno meglio – che in realtà sia comunque possibile andare a votare con il «Porcellum corretto», cioè con la legge elettorale esistente così come emendata dalla Corte costituzionale. A questa tesi, però, si potrebbe muovere un’obiezione: anche se la Consulta ha dichiarato illegittimi il premio di maggioranza senza soglia e le liste bloccate, ovviamente non ha specificato quale potrebbe essere una soglia «costituzionalmente accettabile» né tantomeno quante preferenze si dovrebbero esprimere. Non lo ha fatto – e non dovrebbe farlo neanche nelle motivazioni – perché la Corte può dichiarare incostituzionale una legge (o parte di essa, come in questo caso) ma non può dettare una legge elettorale alternativa. Se mai lo facesse, magari in modo implicito nelle motivazioni, esprimerebbe un giudizio di merito che non le compete. Ipotizziamo quindi che si vada al voto domani con l’attuale legge corretta: quante preferenze si possono indicare? E il premio di maggioranza viene abolito comunque o viene assegnato alla coalizione che raggiunge, per esempio, il 40%? E allora perché non il 35, il 45 o il 50%?

Sempre in attesa che le motivazioni della sentenza ci aiutino a capire meglio, si può però già osservare che le due caratteristiche della legge che la Corte ha bocciato in realtà si ripresentano (anche se in forma diversa) anche nel Mattarellum. Certo, il Porcellum è decisamente peggiore perché unisce la mancanza di scelta dell’elettore con il massimo di iniquità nella distribuzione dei seggi. Ma non è che nel Mattarellum, come in qualsiasi altro sistema uninominale maggioritario, si possano esprimere le preferenze. Possiamo scegliere fra i vari candidati presenti nel collegio, ma il candidato della coalizione che intendiamo votare è uno solo: se non ci piace, non abbiamo la possibilità di sceglierne un altro, possiamo solo cambiare schieramento o astenerci. Per quanto riguarda poi la rappresentatività del Parlamento, c’è da dire che anche con l’uninominale maggioritario si verificano spesso delle «sproporzioni» notevoli tra voti e seggi ricevuti. Può anche capitare, per fare un esempio, che un partito ottenga il 70% dei seggi con solo il 35% dei voti. Non sono ipotesi di scuola: succede abitualmente in tutti i paesi che adottano un sistema uninominale maggioritario, compresa l’Italia quando votava con il Mattarellum.

Quindi, quando giustamente si boccia il Porcellum perché il premio di maggioranza distorce troppo il risultato, non si possono però poi trascurare le distorsioni che anche gli altri sistemi producono. Fa eccezione solo il proporzionale puro, che riproduce in termini di seggi i reali rapporti di forza tra i partiti. Ma l’obiezione è che il proporzionale rende la situazione ingovernabile. È vero, ma se è questa l’obiezione allora bisogna ammettere – a malincuore – che solo l’orrido Porcellum garantisce con certezza che una coalizione ottenga la maggioranza assoluta dei seggi. Con nessun altro sistema questo viene garantito, perché il principio che assicura la maggioranza assoluta dei seggi è proprio quello del premio di maggioranza, che giustamente la Corte costituzionale ha bocciato. Ci si decida, però: se si concorda con la Consulta che boccia il premio di maggioranza non si può poi pretendere di avere una legge equa ma che garantisca la governabilità. Non è possibile, perché in linea di massima più aumenta la governabilità e più diminuisce il tasso di proporzionalità, cioè di corretta rappresentazione delle forze in campo.

In più, ogni sistema elettorale deve fare i conti con la realtà politica del paese in cui viene applicato. Nelle elezioni del 2006 avevamo due coalizioni quasi identiche in termini di voti: l’Ulivo di Prodi, con il 49,8%, batte la Casa delle libertà di Berlusconi, che ottiene il 49,7%. Alla coalizione vincente spetta un premio di maggioranza che porta i suoi seggi alla Camera al 55%. In una situazione bipolare come quella, non appare così «iniquo» un premio che aggiunge poco più del 5% dei seggi. Ma in una situazione tri-polare, come quella che si è verificata nelle elezioni di febbraio 2013, dove nessuna coalizione ha superato il 30%, ottenere un premio del 25% di seggi (un quarto della Camera) appare davvero troppo sproporzionato. Quindi, prendendo atto della situazione politica attuale che vede almeno tre coalizioni in campo, se proprio non si vuole tornare al proporzionale (che il Porcellum corretto dalla Consulta di fatto reintroduce, con una soglia di sbarramento più alta rispetto alla prima repubblica), un sistema a doppio turno consentirebbe almeno una seconda scelta per l’elettore. Al primo turno si vota chi ci piace di più, al secondo turno (se il nostro candidato non è in ballottaggio) possiamo comunque scegliere tra gli altri due quello che consideriamo il meno peggiore. Il doppio turno è quindi meno drastico rispetto al turno unico e quindi, pur deformando la rappresentanza, consente almeno di attenuarne in qualche modo gli effetti. Però, appunto, se poi si comincia a discutere di un sistema nuovo non si finisce più: doppio turno di collegio alla francese o doppio turno di coalizione? Ma allora perché non introdurre anche il presidenzialismo? Oppure il premierato, il cancellierato, il sindaco d’Italia, la Camera delle regioni, quella delle corporazioni… e così si torna al punto di partenza. Anzi: si resta fermi.

Da confronti.net


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