Vatileaks, prima udienza primo colpo di spugna

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Inizia il processo in Vaticano sulla fuga di documenti riservati, e il primo colpo di scena lo mette in atto il tribunale presieduto da Giuseppe Dalla Torre. Due sono gli imputati – l’ex maggiordomo del Papa Paolo Gabriele accusato di furto aggravato, e il tecnico informatico della Segreteria di Stato, Claudio Sciarpelletti, rinviato a giudizio per favoreggiamento. L’avvocato di quest’ultimo, Gianluca Benedetti, chiede che la posizione del suo assistito venga stralciata: il tecnico sarebbe stato infatti solo un tramite per il passaggio di documenti fra un monsignore e lo stesso Gabriele.

A sorpresa il tribunale dice sì, il processo a Sciarpelletti viene rimandato a un futuro imprecisato e quello all’assistente di camera del Papa va avanti. Anzi procede come un treno, tanto che, se non ci saranno sorprese, entro la settimana prossima sarà già finito. Un vero record. Si ricomincerà martedì prossimo e verrà ascoltato finalmente Gabriele in persona. Fra i particolari emersi ieri ci sono quelle 82 casse di documenti sequestrate nei vari appartamenti di Gabriele, in Vaticano e a Castel Gandolfo, che sembrano un’enormità. Infine, fra i testimoni chiamati in aula, ci sarà il Segretario personale del Papa, don Georg Gaenswein.

Monsignor Polvani non testimonierà 
Sciarpelletti era stato rinviato a giudizio per favoreggiamento perché fu trovato in possesso di una busta di documenti – un capitolo del futuro libro di Gianluigi Nuzzi e alcune mail – consegnatagli da monsignor Carlo Maria Polvani e indirizzata a Paolo Gabriele. Ma Polvani, appunto, in quanto testimone per Sciarpelletti, non sarà ascoltato dopo lo stralcio del procedimento contro il tecnico informatico della Segreteria di Stato. L’avvocato di Sciarpelletti, fra l’altro, ha spiegato che, al limite, l’accusa poteva riguardare più Polvani che il suo cliente.

Il monsignore in questione fa parte del personale diplomatico della Segreteria di Stato ed è nipote di monsignor Carlo Maria Viganò, oggi nunzio a Washington. Viganò è stato segretario del Governatorato vaticano, incarico di grande rilievo amministrativo, ed è entrato in questa vicenda in quanto denunciò in una missiva indirizzata al Papa – e resa pubblica dai media – episodi che giudicava di cattiva gestione quando non di corruzione, avvenuti nel recente passato e rivendicava la propria azione di risanamento finanziario, quindi protestava perché stava per essere allontanato. Va ancora ricordato che Polvani è a capo dell’ufficio che controlla Osservatore romano, Radio vaticana e Sala stampa vaticana.

La rete del corvo
Comincia dunque ad emergere una prima ‘rete’ di collegamento fra il corvo e altre figure più o meno direttamente coinvolte in questa storia. Paolo Gabriele ha una miniera per le mani: i documenti infiniti che passano per l’appartamento pontificio anche solo per una firma, poi c’è qualcuno in Segreteria di Stato fa gioco di sponda, in tal senso esiste la busta di monsignor Polvani indirizzata a Gabriele e il ruolo di tramite di Sciarpelletti. Alle spalle s’intravede la persona di monsignor Viganò che ha dato il via alla grande battaglia intorno alla Segreteria di Stato e alla gestione-Bertone. Un’altra figura incerta è quella chiamata ‘B’ nella requisitoria, cioè il confessore di Gabriele che ha avuto per le mani gran parte dei documenti riservati, prima, dice, di darli alle fiamme.
Lo stesso ex maggiordomo era inoltre legato ad ambienti religiosi e spirituali dell’ambiente wojtyliano come la Chiesa di Santo Spirito adiacente a San Pietro, guidata da monsignor Jozef Bart. Ed è noto che in Curia, la fronda anti-Ratzinger – al di là degli aspetti giudiziari – trae origine negli uomini della vecchia Curia e in una sotterranea guerra fra movimenti, da Cl ai Focolarini all’Opus Dei.

La Gendarmeria chiamata in causa 
Il capitolo del libro di Nuzzi sequestrato nella busta di Sciarpelletti s’intitola ‘Napoleone in Vaticano’ e getta ombre su alcuni esponenti del corpo della Gendarmeria, in particolare sul comandante Domenico Giani e poi sul vicecommissario Gianluca Gauzzi Broccoletti, il quale si muove nel business della sicurezza fra Italia e Vaticano; entrambi testimoni che dovevano parlare in aula sulla vicenda Sciarpelletti. Ma anche loro non saranno più ascoltati.

Quest’articolo è apparso anche sul Secolo XIX del 30 settembre


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