L’economia sommersa e le leggi

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La lotta contro le tre mafie (Cosa Nostra,’Ndrangheta e Camorra) che impazzano in tre grandi regioni italiane e hanno le loro filiali importanti non soltanto a Roma e nel Nord ma in tutta Europa e nelle Americhe produce molta retorica sui giornali e sui canali televisivi ma non fa passi avanti decisivi. E’ una questione legislativa, prima ancora di essere favorita di solito  dalle numerose complicità interne e dai grandi  interessi  stabilmente  implicati nell’economia sommersa e criminale, come nel riciclaggio del denaro sporco e nell’evasione fiscale.

Due recenti ricerche della Banca d’Italia e dell’Eurispes forniscono per l’Italia dati che provengono da paesi africani. Secondo l’Eurispes,  quelle economie valgono settecento  miliardi di PIL, circa la metà del PIL ufficiale del 2011.

Ma il dato riguarda il 2008 ed è noto che in questi tre anni la crisi si è ulteriormente aggravata.  Ma l’aspetto più impressionante ai fini del ragionamento complessivo è che, se settecento  miliardi di ricchezza prodotta sfuggono allo Stato, è fatale che producano almeno trecento miliardi di evasione fiscale.

Di fronte a una simile situazione, seguendo l’attuale lavoro in questa drammatica parte finale della sedicesima legislatura, non vediamo nessuna iniziativa efficace che possa porre fine o almeno ridurre in maniera considerevole quello che succede da molto  tempo nel rapporto malato tra economia visibile ed economia invisibile, tra riciclaggio del denaro sporco e attività delle associazioni mafiose, nel cuore insomma della questione di cui pure molti politici di centro-sinistra si affannano a segnalare la gravità e l’importanza. Altri di centro-destra, come sappiamo, non ne parlano neppure.
Ebbene, per l’economia sommersa sarebbe fondamentale che le banche e le società finanziarie avessero  l’obbligo – che ancora non c’è – di comunicare all’Anagrafe Tributaria tutte le operazioni finanziarie con nomi e cognomi di chi le fa e una serie di misure, non ancora approvate purtroppo, per stroncare l’evasione fiscale.

Il dato impressionate sulla confisca dei beni alle mafie è che i  beni confiscati non superano il 5-6 per cento di quelli accertati e non si sa neppure che fine fanno, come sanno quelli che se ne occupano a volte con grandi difficoltà pratiche.

Per l’economia criminale tempi certi ridotti significherebbero cifre molto più alte se esistesse un sistema pubblico efficace per la vendita

e  l’utilizzo dei beni delle mafie. Ma  stranamente (o forse non è neppure strano) a questo sistema non si arriva né da parte dell’esecutivo attuale né da parte delle Camere ancora in funzione.

E questo avviene mentre continuamente si dice e si scrive da  parte dell’esecutivo a livello nazionale e, di conseguenza, da quelli a livello locale che le casse pubbliche sono vuote.

A questo occorre aggiungere che l’Unione Europea chiede da anni all’Italia la riforma della legge sul riciclaggio e l’introduzione dell’autoriciclaggio  ma è difficile, per non  dire impossibile, che il nostro parlamento introduca queste leggi nei prossimi mesi, visto che non riesce neppure ad approvare né la legge contro la corruzione e ancora meno quella sul sistema elettorale che pure diventa ogni mese più necessaria e urgente, a sentire quel che dicono non solo giornali e tv ma soprattutto i cittadini italiani.


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