Il capitalismo globalizzato…ci ucciderà?

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di Andrea Leccese
L’ultimo saggio di Serge Latouche è fresco di stampa: settembre 2012. Un libro snello e di agevole lettura, in cui il noto economista francese analizza puntualmente il paradosso della civiltà contemporanea: la pretesa di crescere senza limiti in un mondo limitato.
La crisi, la criminalità economica e mafiosa, il terrorismo islamico, i cambiamenti climatici non sono guasti che vengono da un altro pianeta, ma sono la conseguenza di una cattiva gestione dei Governi della Terra, cioè sono i segni del fallimento del capitalismo globalizzato.
Infatti con l’avanzamento d’un simile modo di vivere cresce sempre più la degradazione dell’uomo e del suo ambiente. Ebbene non possiamo continuare così: se vogliamo evitare conseguenze apocalittiche sul destino della natura e dell’umanità, è ora di correre ai ripari.
La storia è ricca d’insegnamenti. I filosofi della Grecia classica, per una vita serena, distoglievano dall’esagerazione (hybris) e raccomandavano il senso della misura (phronenis). Il poeta Orazio pur non partecipando attivamente alle battaglie spirituali e politiche del tempo non era insensibile alle tempeste che travagliavano la società e lo stato romano. Perciò scrisse in una sua satira la famosa sentenza “est modus in rebus”, v’è una misura in tutte le cose, ci sono determinati confini, al di là e al di qua dei quali non può esservi il giusto.
Così anche oggi, contro il paradosso della civiltà contemporanea e per scongiurare la scomparsa dell’umanità, bisogna ritrovare il senso della misura, o come suggerisce Latouche dobbiamo optare per una “decrescita felice”.


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