Referendum, appello ai media: ” Informate i cittadini”

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Care colleghe, cari colleghi,
non vi scrivo tanto nella qualità di membro del comitato promotore dei referendum sul lavoro, quanto come collega che ha condiviso con molti di voi tanti anni di lavoro e di battaglie per la libertà d’informazione.
Dal 12 ottobre si raccoglieranno le firme nei banchetti che saranno organizzati in tutt’Italia. Ne servono 500.000, ma il nostro obiettivo è di raccoglierne molte di più, per dimostrare come questa battaglia sia condivisa da tantissimi cittadini. Non vi chiedo, ovviamente, di schierarvi a favore o contro questa iniziativa ma, a cominciare da chi lavora nel servizio pubblico, di dare a tutti i cittadini le informazioni necessarie affinchè possano scegliere se aderire o no a questa battaglia che non è solo in difesa solo dei diritti e della dignità dei lavoratori, ma anche della democrazia presa sul serio.

La democrazia, infatti, si spegne e si riduce a un puro simulacro se vi sono leggi che considerano i lavoratori come merce al pari delle altre, da gettare via come limoni spremuti quando si ritiene che non servano più.
Negli ultimi anni è prevalsa una concezione, a destra come a sinistra, per cui indebolire la contrattazione collettiva, agevolare i licenziamenti, sia il modo giusto per creare sviluppo e nuovi posti di lavoro. I risultati sono sotto gli occhi di tutti: disoccupazione crescente e recessione, fabbriche in crisi. La ricetta neoliberista ha fallito miseramente e ancora la si ripropone come la soluzione, mentre servirebbero politiche attive sul lavoro, sull’innovazione, politiche industriali, investimenti pubblici.

L’indebolimento dei diritti dei lavoratori,dunque, non produce un solo posto di lavoro in più. Produce invece, è sotto i nostri occhi, un crescente distacco tra la vita materiale di milioni di donne e uomini e le istituzioni. La giusta rabbia dei lavoratori che si sentono le vittime sacrificali di scelte aziendali che la politica subisce viene subito additata come pericoloso estremismo da affrontare con i manganelli invece che con politiche adeguate.
In questo quadro di acute tensioni, la battaglia referendaria è anche una battaglia di democrazia, per dare uno sbocco politico alle lotte dei lavoratori e impedire che possano degenerare. È un’assunzione di responsabilità, per rimettere al centro dell’agenda politica il lavoro in carne ed ossa, le persone, i diritti.

Non volevo credere ai miei occhi quando ho letto una dichiarazione di un esponente del Pd, Stefano Ceccanti, il quale ha detto che nel comitato promotore dei referendum sul lavoro avrebbero potuto stare anche esponenti terroristici “delle Farc e delle Br”. Mi domando quale Dio possa averlo accecato e perché nel suo partito, che rimprovera a Sergio Cofferati di aver aderito a questa battaglia, nessuno gli chieda conto di una simile carognata.
Quel che vi chiedo, care colleghe e cari colleghi, è di non immiserire nel vostro racconto questa battaglia in una disputa tutta politicistica interna al centrosinistra.

Questi referendum non sono promossi per favorire qualcuno a danno di qualcun altro: tutti coloro che vorranno aderire saranno i benvenuti, quale che sia la loro appartenenza politica.
Viviamo un momento particolare anche per la libertà d’informazione: chiunque sfugga al conformistico coro di consenso al governo Monti viene indicato come reprobo, fascista, eversivo. Vi chiedo di drizzare la schiena, di fare con orgoglio e dignità il vostro lavoro, di onorare il ruolo di cani da guardia del potere. Informate i cittadini, fate soltanto sapere loro che esiste la possibilità di intervenire per cambiare le cose.


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