Qatar. La corruzione come sistema

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Dopo la vicenda che ha coinvolto esponenti del Parlamento europeo, un nuovo caso coinvolge il Qatar. L’ha denunciato il Tg1 rivelando che l’emirato ha pagato milioni di dollari per favorire il ritorno dei Talebani al potere. Un paese ricchissimo, da tempo sotto osservazione da parte delle organizzazioni mondiali che si battono per i diritti umani, che usa la sua ricchezza per favorire regimi totalitari. E per corrompere leader europei ottenendo in cambio un atteggiamento di favore che nasconda le violazioni dei diritti e disegni un profilo del paese positivo, se non addirittura attraente. Un paese che ha ospitato recentemente i Mondiali di calcio, l’evento sportivo di maggior richiamo in ogni continente. Un evento fortemente voluto ed ottenuto, 12 anni fa, dopo investimenti massicci nel calcio europeo che hanno portato anche all’acquisizione di importanti club continentali, come il Paris Saint Germain. E che, soprattutto, hanno portato solide alleanze da parte degli organi che dirigono il calcio europeo e planetario. Certo, appare una colpa minore quella di aver organizzato i mondiali rispetto alle sofferenze imposte alla popolazione afgana e alle donne afgane private di ogni diritto civile. Ed appare una colpa minore anche rispetto alla corruzione della politica che ha portato in carcere, tra gli altri, il deputato europeo Antonio Panzeri e la vice Presidente del Parlamento europeo Eva Kaili. Ma un sottile filo rosso collega ogni passo mosso dall’Emirato: nascondere la polvere sotto il tappeto dei diritti violati, della democrazia negata attraverso una capillare azione volta a disegnare il volto del paese da mostrare al mondo. Non quello reale, ma quello desiderato dall’autocrazia al potere. E per farlo il Qatar si è mosso alla ricerca di alleati disposti a mentire o a tacere in cambio di dollari. Un’operazione che ha avuto il suo apice con i Mondiali di calcio. Del Qatar abbiamo visto stadi imponenti e avveniristici, tifosi festanti, gare di buon contenuto tecnico. Abbiamo visto persino il più grande giocatore attualmente in attività – Messi – accettare di alzare la Coppa del Mondo indossando un Bisht, mantello tradizionale del golfo Persico che simboleggia prestigio e ricchezza e indossato dagli uomini di spicco in Qatar. Non era mai successo in alcuna edizione dei Mondiali che la maglia della Nazionale vincitrice fosse coperta al momento della premiazione. Ma non abbiamo visto scene di vita quotidiana in Tv, reportage che raccontassero la realtà del Qatar. In un paese in cui la libertà di stampa è fortemente limitata i giornalisti hanno potuto mostrare solo i luoghi “canonici” del mondiale. Non il Qatar. Ad un paese senza tradizione calcistica i Mondiali sono serviti per produrre cartoline. Lo Sportwashing è questo: usare lo sport per nascondere la polvere sotto il tappeto, usare le centinaia di canali tv planetari per mostrare il volto che più piace al potere. In cambio di dollari, negando anche le migliaia di vittime causate dall’assenza di tutele sulla sicurezza nei cantieri. E’ un aspetto di marketing. Dietro al marketing c’è l’orrore dei diritti calpestati e delle donne afgane alle quali è negato persino il diritto a studiare.

(Nella foto una delle immagini-simbolo che restano dei Mondiali di calcio 2022)


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