Turchia, ‘adottiamo’ un collega in carcere per ribadire #nobavaglioturco

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Ozkan Mayda, un giornalista sportivo turco, da quasi 8 mesi è in carcere senza che gli sia stato contestato alcun reato. Il quotidiano tedesco Taz gli ha dedicato ieri l’apertura pubblicando una vignetta e chiedendo la sua e la liberazione di tutti gli altri colleghi arrestati in Turchia dopo il fallito golpe del luglio 2016, tra cui Deniz Yucel, corrispondente dalla Turchia di Die Welt, con doppia nazionalità, tedesca e turca. Per lui, oltre la Germania, si sono mobilitati vari quotidiani europei.
Ma nelle galere di Istanbul, in attesa di processo, ci sono oltre 155 giornalisti. Ed è per loro, per ognuno di loro, che Articolo 21, lancia una proposta a tutta la stampa italiana: ogni testata ‘adotti’ un caso, ‘illuminando’ le storie di chi dietro le sbarre non può più raccontarle. Solo in questo modo possiamo contrapporci concretamente al bavaglio turco, alle repressioni nel Paese che si abbattono indiscriminatamente su militari, società civile, stampa, mondo accademico.
Il governo è infatti pronto a prolungare lo stato d’emergenza di altri tre mesi.
Il premier turco, Binali Yildirim, ha annunciato che il provvedimento sarà esteso a partire dal 16 aprile e rimarrà in vigore fino al 20 luglio.
Dal tentativo di colpo di stato, la cui responsabilità è stata attribuita all’ex predicatore Fethullah Gulen, le autorità turche hanno infuso varie ‘purghe’ e praticato epurazioni in tutti i settori pubblici, in particolare nelle forze armate, nella magistratura e tra gli insegnanti e gli intellettuali.
Recep Tayyip Erdogan ha rivendicato i ‘successi’ dell’azione repressiva di cui è stato promotore affermando che sono state arrestate 43 mila persone, tra cui 155 operatori dell’informazione, sono stati sospesi dal loro incarico 95 mila dipendenti pubblici e altre decine di migliaia sono ancora sotto indagine.
Intanto, in queste ore, la Corte europea dei diritti dell’uomo si è espressa proprio in merito a un caso in Turchia di detenzione arbitraria di un giornalista.
Gli avvocati dello scrittore Şahin Alpay, redattore per molti anni del quotidiano Cumhuriyet, prima, e di Milliyet poi, per approdare nel 2002 nella redazione di Zaman, hanno presentato una decina di giorni fa un’istanza alla Cedu.
Intellettuale liberale, Alpay aveva sostenuto con forza il governo dell’AKP, il Partito per la Giustizia e lo Sviluppo fondato da Erdogan, diventando per questo bersaglio di ambienti anti-governativi. Ma negli ultimi anni è diventato sempre più critico nei confronti di tutto l’esecutivo.
Subito dopo il golpe tutto lo staff di Zaman, giornale riconducibile a Gulen, è finito nel mirino delle autorità turche, con continui arresti, sequestro di copie e il commissariamento della testata, fino alla sua chiusura.
Alpay è stato arrestato nella sua abitazione il 23 luglio dello scorso anno con l’accusa di essere un membro dell’organizzazione terroristica Fethullahist (Feto) e tutti i suoi beni, in gran parte ereditati dalla sua famiglia, sono stati sequestrati dallo Stato.
I suoi difensori hanno presentato una serie di obiezioni contro il suo arresto, tra cui il suo stato di salute, il 73enne per varie patologie assume nove diversi farmaci.
Ma la Corte Costituzionale turca ha respinto tutte le richieste avanzate per la sua scarcerazione affermando che in prigione il detenuto era “adeguatamente trattato”.
Ritenendo inaccettabile tale decisione e formulando un ricorso basato sulla considerazione che i giudici turchi abbiano ignorato i diritti del loro assistito, il 20 febbraio i legali di Alpay si sono appellati alla CEDU per ottenere un “provvedimento urgente” sul caso sia perché l’arresto era ingiusto, sia per i suoi problemi di salute, messa ulteriormente a rischio dal regime carcerario.
Oggi, a meno di due settimane dalla presentazione dell’appello, la Corte europea ha deciso di dare priorità al procedimento.
Gli analisti che conoscono tempi e metodo della Cedu ritengono che tale decisione, vista la velocità della risposta, datata 3 marzo a fronte di un fascicolo aperto il 20 febbraio, sia particolarmente degna di nota. Potrebbe presupporre che i giudici europei siano pronti ad assumere una posizione in contrasto con l’inerzia della Corte costituzionale turca nei confronti dei giornalisti arrestati. A Strasburgo hanno atteso a lungo che i colleghi in Turchia si esprimessero sui procedimenti contro gli operatori dell’informazione, ma di fronte alla palese mancanza di volontà di azione hanno finalmente fatto la propria mossa.
Per sostenere la Corte europea dei diritti umani e ribadire la nostra ferma opposizione al bavaglio turco, il 2 maggio insieme alla Federazione nazionale della stampa, in occasione della giornata mondiale per la libera informazione, animeremo un sit-in davanti all’ambasciata turca per far sentire la nostra vicinanza ai nostri colleghi costretti al silenzio, rinchiusi in carcere, o limitati dalle continue censure e dal regime sempre più oppressivo di Erdogan, che attende solo l’esito del referendum del 16 aprile per consolidare il suo potere.


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